Riflessioni

“Voi siete il sale della terra”

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.” Queste sono le parole di Gesù, riportate dall’evangelista Matteo (Vangelo di Matteo,5,13-16), dalle quali emerge un messaggio universale, una cagione di riflessione, specialmente nella società contemporanea, un incoraggiamento ad acquisire consapevolezza dei propri doni, delle proprie qualità, dei punti di forza della propria indole; un invito a non relegarli nella prigione della propria interiorità, a non sminuirli rendendoli esclusivamente fini a se stessi, ma a farli fruttare, a non temere di metterli a disposizione del prossimo, di adoperarli laddove ve n’è più bisogno, poiché soltanto mediante la generosità e la condivisione questi ultimi sono in grado di fare la differenza. Il sale è metafora dell’uomo. Un paragone che può risultare banale, insignificante, per la dimensione e quasi impercettibilità del sale, che in realtà svolge un ruolo fondamentale e determinante nell’alimentazione per le sue molteplici funzioni: esso è ciò che conferisce sapore, che rende gustoso e appetitoso, che allontana l’insipidezza, la piattezza, la banalità, la monotonia di ciò che invece è scialbo e insulso. Il sale conserva, mantiene intatte e inalterate le buone caratteristiche dei viveri, preclude la strada al loro deterioramento e corruzione, li tiene in vita, preservandone l’essenza e non rendendo vana la ricchezza che possiedono.

king1Ogni uomo è un granello di sale; ogni uomo possiede pregi, virtù, disposizioni in un determinato settore, che gli conferiscono valore e importanza; ogni uomo possiede i mezzi per lottare contro la passività e la noia: questi mezzi possono variare, a seconda dell’individuo, ciascuno è libero di adoperare la propria tattica, conformemente alla propria personalità, poiché non vi è tattica vincente o perdente, tutte sono efficaci allo stesso modo, e proprio nella loro immensa gamma risiede la bellezza e preziosità del genere umano. Ogni uomo è, come sosteneva Martin Luther King, “una saggina sulla sponda del ruscello, un cespuglio, un sentiero, una stella”…, acclamando il valore e l’utilità dell’estrema eterogeneità umana ed esaltando il ruolo che ognuno è chiamato a ricoprire per il bene comune: “C’è qualcosa da fare per tutti noi; c’è un gran lavoro da fare e quello già fatto è la parte minore e il compito che dobbiamo svolgere è vicino. […] non c’è grandezza che tu vinca o perda, sii il meglio di quello che sei.

E’ importante tenere a mente, interiorizzare e tradurre in realtà effettiva tale messaggio, adoperandolo come antidoto a quella noia e stanchezza che sempre più di frequente pare prendere il sopravvento su giovani e adulti indistintamente. Una noia non causata dal disappunto e dalla sazietà della ripetitività delle medesime azioni, non superficiale, limitata e facilmente definibile e classificabile, una noia assai più radicata, quasi viscerale, che colpisce l’animo, centro principale di direzione delle funzioni vitali e delle emozioni, lo pervade, lo abbindola, fino ad inghiottirlo, gettandolo in balia dell’oscurità, dell’insoddisfazione, della scontentezza, del disincanto, privandolo della capacità di provare gioia, interesse, passione, stupore, gratificazione. Risulta triste il pensiero di una società progredita e sviluppata, dalle grandi potenzialità e risorse, che si lascia dominare dalla stanchezza, dal tedio, da una sorta di accidia petrarchesca nei confronti della vita stessa. Triste è l’immagine di giovani incapaci di appassionarsi, di discernere tra quali siano le gioie effimere e temporanee e quali quelle autentiche e durevoli, di dedicarsi a qualcosa che sia per loro motivo di soddisfazione e appagamento, che gli faccia accelerare il battito del cuore e brillare la luce negli occhi. “Cari giovani, nulla vi accontenti che stia al di sotto dei più alti ideali! Non lasciatevi scoraggiare da coloro che, delusi dalla vita, sono diventati sordi ai desideri più profondi e più autentici del loro cuore. Avete ragione di non rassegnarvi a divertimenti insipidi, a mode passeggere ed a progetti riduttivi. Se conservate grandi desideri per il Signore, saprete evitare la mediocrità e il conformismo, così diffusi nella nostra società”. Questo l’invito di Papa Giovanni Paolo II.

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Alessandro D’Avenia in un articolo (http://www.lastampa.it/2014/09/03/cultura/opinioni/editoriali/cari-studenti-non-rassegnatevi-alla-stanchezza-8lhbqDkI8221eAd3x54uJL/pagina.html) parla di società della stanchezza, di cultura della prestazione, in cui le relazioni si riducono a controllo, manipolazione, soggezione e augura a tutti di ritrovare il senso vero e sincero di queste ultime nella vocazione originaria e originale della famiglia e della scuola. Curiosa a tal proposito si rivela la riflessione sul significato veicolato dal verbo latino “sapio” che, mediante un processo figurativo e metaforico a partire dall’accezione di “avere sapore”, passando attraverso quella intermedia di “sapere di”, permette di giungere parallelamente al concetto di “avere sapere”: viene in tal modo espresso congiuntamente il binomio sinonimico “sapore-sapere”, mettendo in evidenza come i due costrutti risultino strettamente ed inesorabilmente interdipendenti, come il sapere, quello vero e genuino, non si limiti ad una mera acquisizione mnemonica di nozioni, separate e confinate ciascuna negli appositi cassetti della propria mente. Il sapere, la cultura, la conoscenza costituiscono la sostanza vitale, la fonte principale di sostentamento, l’alimento irrinunciabile, il sale dell’alimentazione spirituale dell’essere umano. Vivere privi di sapere equivale alla perdita degli aspetti maggiormente interessanti e affascinanti della personalità dell’individuo e riduce l’esistenza a pietanza insipida ed effimera.

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