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Phoebuskartell – L’ironia del Teatro

Ho assistito alla messa in scena, al Teatro Fontana, di PhoebusKartell: uno spettacolo teatrale molto particolare e originale, proprio come la materia trattata. PhoebusKartell, o Cartello Phoebus, è appunto il nome di un accordo stipulato a Ginevra nel dicembre 1924 dai principali produttori di bulbi a incandescenza, che si erano riuniti segretamente per controllare il mercato mondiale delle lampadine e la loro produzione e vendita. Stabilirono quindi di ridurre la vita delle lampadine da 2500 a 1000 ore. Lo scopo era chiaro: produrre lampadine di peggiore qualità (o, comunque, di durata minore) obbligando di fatto il consumatore ad acquistarne nuove con una maggiore frequenza. Nel 1924 nasce quindi il primo cartello economico formato dai principali produttori europei e americani durato tre lustri che dà vita al fenomeno noto come “Obsolescenza programmata” o “pianificata”. Questo termine definisce una «strategia volta a stabilire il ciclo vitale di un prodotto in modo da limitarne la durata a un periodo prefissato».

La compagnia ServoMuto, con la regia di Michele Segreto, ha sorpreso il pubblico con un’efficace rappresentazione al Teatro Fontana di Milano, affrontando una materia complessa con toni lievi e a tratti quasi comici. Gli attori protagonisti coinvolti in scena sono sei. Un gruppo capace quindi di trasmettere un messaggio molto chiaro suscitando sorrisi e risate in platea. Il gioco delle grandi aziende induce il consumatore ad uniformarsi inconsapevolmente alle decisioni dell’industria. E così come avviene nella realtà, Phoebuskartell racconta quanto sia difficile per il consumatore di oggi uscire dagli schemi. Significativa è infatti la scena in cui solo Numero 2 (uno dei sei operai chiamati appunto da Numero 1 a Numero 6) prova a ribellarsi alle autorità iniziando a partecipare alle assemblee popolari. Questo suo comportamento lo porta ad essere isolato e ostacolato dai suoi stessi compagni. E, ancora, nel secondo atto, viene rappresentata un’altra scena emblematica che raffigura un modello rigido di società nella quale il dissenso non è ammesso. Qui il Professore, interpretato dall’attore Marco Rizzo con una mimica adeguata al personaggio, colto ma al tempo stesso ignaro dell’accordo segreto stipulato dai produttori, mette a punto la sua nuova lampadina della sorprendente durata di 100 mila ore.

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Gli attori si alternano tra ‘imprenditori’ e ‘operai’, mantenendo inalterata la loro capacità espressiva. I personaggi della “borghesia”, interpretati da Gabriele Genovese, Giancarlo Latìna, Michele Mariniello, Marco Rizzo, Matteo Vignati e Pavel Zelinskiy, sono presentati amplificando notevolmente i loro difetti portati all’esasperazione con espedienti assai divertenti. Gli operai, il Professore e il suo assistente, sono figure più semplici. La narrazione appare senza vuoti né pause. Il lavoro di gruppo e la sintonia fra i protagonisti mostra la sua efficacia anche nelle parti corali e danzate. La scena è semplice e spoglia, al pari dei costumi: un allestimento che pare voluto per non togliere attenzione all’aspetto recitativo. La difficoltà del tema economico rappresenta solo apparentemente un ostacolo alla sua trasposizione teatrale. E bastano poche battute sul palcoscenico per farsi subito rapire dal racconto, che trasforma una materia asettica e noiosa in una elegante presa in giro di quei poteri forti dell’economia globale spesso capaci di definire in anticipo i destini del mondo. Ma così non sempre accade, e i sei personaggi di PhoebusKartell lo dimostrano.

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