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#ViveOggi: 23 dicembre, Federica Taglialatela

La scelta di parlare nella puntata odierna di #ViveOggi di Federica Taglialatela, una ragazza di Ischia, uccisa il 23 dicembre di trentaquattro anni fa, assieme a suo padre Gioacchino, morto giorni dopo per le ferite riportate, è dipesa dalla giovane età della ragazza in questione. Quando in redazione scorriamo lo sterminato elenco delle vittime innocenti di mafia non raramente rimaniamo impressionati dalla giovane età di alcune di esse e proprio per questo motivo scegliamo di valorizzare la loro storia piuttosto che un’altra. All’epoca Federica aveva dodici anni. La mafia, come abbiamo già detto altre volte in questa sede non fa differenze d’età, sesso o condizione sociale. La mafia uccide anche d’inverno e lo sa bene la famiglia di Federica e i familiari delle altre vittime del treno. C’è poi un’altra Storia, quella con la “S” maiuscola della quale Federica e le altre vittime del treno sono state loro malgrado protagoniste. È il caso della strage del rapido 904, datata appunto 23 dicembre 1984, nella quale persero la vita quindici persone e più di duecentocinquanta rimasero ferite. Secondo la Commissione Stragi del Parlamento italiano questo evento è da considerarsi un antesignano a tutti gli effetti della grande stagione delle stragi degli anni ’90. Per gli storici, e senza convenzioni storiografiche, è senz’altro l’atto che ha sancito il passaggio dagli anni di piombo alla guerra aperta della mafia contro lo stato, che in quegli anni aveva dato il via al maxiprocesso.

Il rapido 904 era un treno proveniente da Napoli e diretto a Milano e, come è facilmente intuibile dal periodo, trasportava persone in viaggio da un punto all’altro della penisola per le vacanze di Natale. Al momento della deflagrazione, ore 19:06, il treno si trovava all’altezza della Grande Galleria dell’Appennino, a San Benedetto di Val di Sambro poco lontano da Bologna. C’è da precisare che dieci anni prima lo stesso tratto di binari, alla stessa altezza, era stato teatro di un altro atroce delitto, l’attentato dell’Italicus, da parte di esponenti dell’estrema destra, che aveva causato dodici morti. A differenza però dell’Italicus nel quale una bomba collegata a un timer era deflagrata appena fuori dalla galleria, questa volta gli attentatori hanno usato un ben più affidabile comando a distanza, inaugurando così il tragico successo di questo strumento di morte negli anni a venire. C’è una precisione chirurgica nelle modalità dell’attentato del rapido 904, accompagnata da una furia distruttrice che non lascia scampo. Immaginatevi la scena: un vagone di un treno completamente dilaniato dal calore bruciante di ordigno esploso all’interno, mentre all’esterno, a causa dell’esplosione, interi pezzi di galleria intrappolano le vittime. Eppure, nonostante la “spettacolarità”, si parla relativamente poco di questo attentato che sconvolse il paese il Natale di trentaquattro anni fa. Perché?

È possibile che uno dei motivi risieda nell’intricato periodo storico in questione. Come dicevamo sopra l’Italia proveniva da una stagione di stragi particolarmente cruenta, appunto gli anni di piombo. C’erano stati infatti anni prima dei “precedenti illustri”: oltre al già citato Italicus non dobbiamo dimenticare la strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969), la strage di piazza della Loggia (28 maggio 1974) e la strage di Bologna (2 agosto 1980). Quella del rapido 904 quindi potrebbe essere presa come poco più di un “colpo di coda” della sanguinosa stagione delle stragi degli anni precedenti. Eppure, il Rapporto Pellegrino della Commissione Stragi (consultabile interamente qui) precisa che non si può più parlare di uno stragismo riconducibile solo agli anni di piombo, ma a una vera propria rete che ha convolto Cosa Nostra, Camorra, la Loggia P2, il terrorismo eversivo di destra e la Banda della Magliana :

Alle complessive riflessioni della Commissione appare in tale direzione ricostruttiva estremamente significativo che l’ultima grande strage – quella del treno 904 -, che chiude il periodo 69/84, abbia visto l’individuazione in Pippo Calò di uno dei suoi organizzatori. Trattasi di una vicenda giudiziaria che, non diversamente da quella relativa alla strage di Bologna, è stata definita da un giudicato che individua però soltanto alcuni dei responsabili, lasciando ancora nell’ombra un’ampia rete di complicità che indubbiamente deve ritenersi sia stata esistente. Nell’una e nell’altra vicenda ipotesi accusatorie volte all’individuazione di un più ampio ambito di responsabilità non hanno retto al vaglio dibattimentale. Sicché restano non pienamente chiariti i contesti, probabilmente diversi, in cui le due stragi sono venute ad inserirsi e i più ampi disegni strategici cui le stesse sono state funzionali. In tale prospettiva apprezzabile – ma non pienamente appagante – appare l’ipotesi avanzata in sede giudiziaria con specifico riferimento alla strage del treno 904 secondo cui la stessa sarebbe stata una reazione di Cosa Nostra all’attivarsi della collaborazione di alcuni pentiti “storici” come Buscetta e Contorno

Nel testo spicca il nome di Giuseppe “Pippo” Calò, mandante della strage e personalità di peso della mafia siciliana, noto come il “cassiere di Cosa Nostra”. Ma ancora si legge chiaramente che l’ipotesi più plausibile sia quella che Cosa Nostra, in risposta alle prime dichiarazioni di pentiti quali Buscetta e Contorno, abbia scelto la risposta violenta e intimidatoria nei confronti dello stato. Se ciò fosse vero, inquadrerebbe la strage in un disegno più ampio che vedrebbe coinvolti anche Totò Riina, l’allora capo di Cosa Nostra.

E qui arriviamo alla seconda caratteristica che ci ha colpito della breve vicenda di Federica che l’accomuna le altre vittime del treno e a molte altre vittime di mafia: l’impunità dei suoi esecutori. Benché infatti siano stati arrestati e condannati il sopracitato Giuseppe Calò, Guido Cercola, Alfonso Galeota, Giulio Pirozzi, Giuseppe Misso e l’artificiere tedesco Friederich Schaudinn, la strage rimane ancora senza un mandante, nonostante molte volte sia stato indicato appunto Riina, di cui Calò era un fedelissimo. Eppure, secondo la  Corte d’Appello d’Assise di Firenze l’ipotesi della colpevolezza di Riina è da scartare per insufficienza di prova. La breve storia di Federica quindi si inserisce nella rubrica di #ViveOggi non solo per ricordarci ancora una volta che la crudeltà delle associazioni criminali non conosce “onore”, ma anche e soprattutto per ricordarci che la maggior parte dei casi sono ancora aperti e che famiglie intere, per non dire un’intera nazione, aspettano ancora una verità che tarda ad arrivare.

 

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