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Venerdì profano #3 – Sic gloria Tav mundi

A sentir parlare di “giustizia a orologeria” – al contrario di quanto inteso precedentemente, ovvero provvedimenti della magistratura, oggi presi dopo le elezioni – per il fatto che la procura di Torino, ballottaggi conclusi, abbia disposto venti misure cautelari (undici arresti, di cui nove domiciliari, le restanti nove obblighi di firma) per altrettanti “attivisti No Tav”, in relazione alle tensioni a Chiomonte del 28 giugno dello scorso anno, vien da ridere.

Per due ragioni. La prima: ci spieghino, (tutti) quelli che parlano di “giustizia a orologeria”, quando i magistrati possono indagare; e ci dicano anche il passo costituzionale che prevede la momentanea cessazione dell’esercizio del potere giudiziario da parte dell’organo indipendente preposto a esercitarlo.

La seconda ragione, invece, riguarda Roberta Chiroli e Franca Maltese.

Mercoledì scorso, infatti, la procura di Torino, che aveva processato le due per concorso morale in violenza aggravata e occupazione di terreni, ha condannato la prima a due mesi e assolto la seconda. La ragione dell’inchiesta che le ha portate davanti al GUP Roberto Ruscello? Molto semplice: il loro interesse accademico per il movimento No-Tav.

La loro presenza alla manifestazione 14 giugno 2013, infatti, era dovuta al loro percorso universitario: Roberta, laureanda alla Ca’ Foscari di Venezia in antropologia, preparava infatti la tesi Ora e sempre No Tav: identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità; Franca, invece, Istituzioni e progetto locale. Dalla partecipazione alla comunità di residenza. Il caso Valsusa, dottoranda in sociologia all’Università della Calabria.

Secondo l’accusa Roberta Chiroli, raccontando i fatti osservati in prima persona, avrebbe dimostrato la sua partecipazione: «La Chiroli ha scritto la sua tesi usando un espediente narrativo, il racconto in prima persona. Durante la requisitoria il pm ha affermato che è un “noi partecipativo” con cui si indica la partecipazione materiale o almeno un contributo morale», così ha commentato l’avvocatessa Coletta, che ha difeso le due universitarie.

Senza la necessità di scomodare Galileo, oppure Giulio Regeni, non credo che un «noi» possa rappresentare «un concorso morale alle azioni di disturbo del movimento»: come ha scritto Marco Aime – antropologo e scrittore torinese – su ilfattoquotidiano.it «se uno studia i No Tav non necessariamente deve esserlo. Dopo decine di anni di ricerca in Mali, Benin, Burkina Faso non sono ancora divenuto africano».

Non credo nemmeno che un elaborato di ricerca possa essere oggetto di un’indagine in relazione alle scelte stilistiche e contenutistiche dell’autore, se svolto con onestà, per intento divulgativo e non propagandistico (sulla cui differenza non mi sentirei di dover dire molto).

A seguito di una sentenza simile (e di altre, in materia di “No Tav”, su cui esponenti ben più illustri di me hanno espresso perplessità), tuttavia, ciò che mi ha fatto riflettere è il clima nel quale versa il dibattito, che da tempo è semplicemente un non-dibattito, riguardo l’utilità del Treno Alta Velocità Torino-Lione.

Da una parte, per le colpe ascrivibili alle frange più estremiste del movimento – anche se è utile rimarcare come gli antagonisti in nero, che in ogni altro contesto vengono definiti “Black Block” e non con l’epiteto con cui si chiamano i manifestanti tra lei cui fila tali violenti si confondono, siano spesso erroneamente definiti “No Tav”, pur non avendo nulla a che vedere con i comitati locali, fondanti il movimento; dall’altra, per la sordità selettiva con cui alcuni illustri esponenti della comunità scientifica – quali ad esempio Luca Mercalli – e alcune ricerche – vedasi An early evaluation of Italian high speed project di Paolo Beria e Raffaele Grimaldi, o gli studi portoghesi, o quelli dell’Università di Barcellona – che hanno messo in dubbio l’efficienza non tanto della Torino-Lione, quanto del progetto Tav stesso, sono stati programmaticamente ignorati.

«Tutt’ora, la maggioranza dei sindaci della Valsusa non è d’accordo, ma il punto è che, aldilà di quanto era accaduto inizialmente, sul piano complessivo, si tratta di vedere se questa situazione, quest’opera, con le sue caratteristiche e tutto, è un’opera utile. […] In una situazione in cui, per esempio, il Portogallo ha abbandonato l’opera, la Spagna sta manifestando dei problemi [e] la stessa situazione [sta avvenendo in] Francia, [dove] la Corte dei Conti francese ha fatto una serie di perizie: ora, io credo che ridiscutere la cosa sia una forma di intelligenza. […]

Le discussioni certamente hanno da finire, il problema è, almeno io credo, che in una situazione delicata come questa, che investe una serie di problemi che riguardano soprattutto la salute delle persone, perché nessuno nega che quella montagna contenga amianto […], si abbia una situazione di rischio sanità elevata. Poi ci si trova come ci si trova oggi a Taranto a discutere, vent’anni dopo, di come si è arrivati con l’Ethernet di Casale, che si diceva che con la sabbia bianca sembrava di essere ai Caraibi: poi abbiamo visto che cosa è accaduto.

Tenere aperta la discussione su questo, […] non gesti di violenza, che sono un’altra cosa, ma cercare di tenere aperto un confronto politico,  mi sembra che sia un’espressione di democrazia. Alla fine, si tireranno le somme». Così diceva Livio Pepino, ex magistrato torinese.

D’altronde, qualcuno potrebbe pure sostenere che «altro luogo comune [è che per] creare posti di lavoro è necessario inventarsi l’ennesima grande opera. Le grandi opere sono state utili, per carità, talvolta anche solo per il valore simbolico. L’Autostrada del Sole è il simbolo della ripartenza dell’Italia. L’alta velocità Torino-Salerno, in attesa di raggiungere Bari, è una metropolitana che sta cambiando le abitudini del paese. Ma le grandi opere non sono né un bene un male in sé. Dipende da dove sono, quanto costano, quanto servono. Lo so che esprimere un concetto del genere è banale. Ma forse dobbiamo ritornare alla logica ferrea delle cose semplici. Non esiste il partito delle grandi opere. Non credo a quei movimenti di protesta che considerano dannose iniziative come la Torino-Lione. Per me è quasi peggio: non sono dannose, sono inutili. Sono soldi impiegati male. […] Ma un giudizio netto e fermo su ogni forma di violenza non cancella il giudizio politico sulla Tav, che non è dannosa. Rischia semplicemente di essere un investimento fuori scala e fuori tempo. […]

Prima lo Stato uscirà dalla logica ciclopica delle grandi infrastrutture e si concentrerà sulla manutenzione delle scuole e delle strade, più facile sarà per noi riavvicinare i cittadini alle istituzioni. E anche, en passant, creare posti di lavoro più stabili».

Era il maggio 2013.

A parlare così, nel libro Oltre la rottamazione, Matteo Renzi.

Ma, appunto, oltre la rottamazione.

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