Vent’anni contro. La mutevole storia del movimento No TAV
di Giovanni Cervi Ciboldi
Testo realizzato per la trasmissione “L’Italiota”, in diretta il lunedì dalle 17 alle 18 su Ucampus, la webradiotelevisione dell’Università di Pavia.
Il tratto iniziale del tunnel dell’alta velocità Torino – Lione passerà attraverso la Val di Susa, territorio piemontese situato ad Ovest di Torino, verso il confine francese, dove abitano 120 mila abitanti.
Il territorio non si può dire del tutto immune da infrastrutture: raggiungibile dal tunnel che si dipana da una uscita dell’autostrada A32, sul suo territorio passano la Ferrovia del Moncenisio e quella del Frejus, un traforo già esistente, tornato in piena operatività dopo il rinnovo nel dicembre del 2010: un tracciato che non può però essere sfruttato dalla linea ad alta velocità in quanto eccessivamente tortuoso.
Qui, nel tempo, si sono concentrate le opposizioni al progetto TAV.
La prima reazione della Val di Susa venne nel 1990, quando il tracciato della ferrovia, dai primi progetti, sembrò doverla includere.
Due anni dopo nacque l’associazione “Habitat”, che riuniva un gruppo di professionisti e politici residenti nella Valle, preoccupati dalla grandezza che la nuova infrastruttura, ancora in fase di progettazione, avrebbe potuto assumere.
L’opposizione al primo progetto fu così molto grande, dalle fiaccolate in valle sino ai “giovedì del ferroviere”, incontri in cui sindaci e cittadini si riunivano invitando esperti delle ferrovie e altre personalità locali.
Nel 1995 iniziano i primi cortei, ma la manifestazione che raduna più persone contro il progetto si tiene poco più tardi, nel 1996, promossa proprio dall’associazione “Habitat” e dai comuni che avrebbero maggiormente subito l’impatto della nuova ferrovia sul territorio. Ad essi partecipano valligiani di varia età, dai più vecchi e quieti ai giovani più rumorosi e battaglieri.
Ma già negli anni 90 sorgono comitati promotori favorevoli al progetto: questi, seduti intorno al tavolo, lasciano le trattative ai primi sabotaggi, avvenuti a danno di infrastrutture elettriche pubbliche. Già discrete sono infatti le infiltrazioni all’interno del movimento No TAV degli “squatter”, gruppi anarchici organizzati che sostenevano la protesta anche a Torino.
Prima del tornante del millennio, nel 1999, si tiene il primo contatto diretto della popolazione valsusina con esponenti del governo, nella persona del ministro dell’ambiente Edo Ronchi. All’arrivo della primavera dello stesso anno, però, la discussione sul progetto Torino–Lione ritorna sulle prime pagine quando un’altra importante infrastruttura, l’autostrada del Monte Bianco, è tomba di 39 persone, vittime di un enorme incidente stradale dovuto alla grande crescita del traffico.
L’accordo sul progetto è quindi ufficialmente siglato da Italia e Francia nel 2001.
Due anni dopo, è il tempo della prima marcia No TAV di grande entità: da Susa a Bussoleno, raduna ventimila persone, tra cui sindaci e attivisti, che bloccano l’autostrada e la ferrovia del Frejus.
Ma è il 2005 ad essere l’anno chiave della protesta. Dopo la formazione di presidi di manifestanti tesi a non far partire i lavori di accertamento, il 5 e il 6 dicembre la polizia, non senza resistenze attribuite al gruppo “duro” dei manifestanti, sgombera le terre e le requisisce. Ma il movimento dichiara un’altra marcia, bloccando ancora i lavori. Vista l’opposizione degli abitanti della Valle, nel 2005 – in accordo con i rappresentanti dei cittadini – viene costituito l’Osservatorio Territoriale, con il compito di fungere da collante tra l’operato governativo e le esigenze del territorio valsusino.
Un anno dopo un ulteriore avvicinamento della politica nazionale ai comuni avviene con un tavolo di discussione ufficiale.
I tecnici oppositori del progetto creano poi nel 2008 il progetto “Ferrovie Alpine Razionali ed Efficienti” che, accolto nelle pubblicazioni dell’Osservatorio, propone la realizzazione di un nuovo progetto per fasi: ma tale proposta soffre di un vizio di fondo, infatti, la linea pianificata dal “F.A.R.E.” non sarebbe ad Alta Velocità, tradendo quindi la concezione originaria del progetto.
Nel 2010 però la contestazione esplode nuovamente, nonostante la sostanziale modifica del progetto, quando hanno luogo i primi rilievi. Così, il 23 gennaio, nuove sfilate si tengono a Susa.
Il termine per l’apertura dei cantieri fissato dall’Unione Europea al 30 giugno, che se non rispettato porterà alla revoca di parte del finanziamento europeo dell’opera. Così, il ministro degli interni Maroni annuncia il 26 giugno l’apertura del cantiere per l fine del mese.
La sera si raduna però una folta fiaccolata pacifica presso Maddalena di Chiomonte, luogo dal quale inizieranno i lavori, fatta sgomberare la mattina seguente dalla polizia per permettere agli operai dell’azienda appaltatrice di raggiungere i luoghi interessati dal progetto.
Nei giorni seguenti, all’arrivo dei macchinari necessari per la predisposizione dei luoghi al cantiere, la manifestazione continua.
Il 3 luglio la manifestazione nazionale indetta dai No TAV raccoglie alcune migliaia di persone. Il sindacato di polizia COISP lancia però l’allarme di una forte infiltrazione di gruppi violenti: un gruppo staccatosi dai cortei sfonda infatti una recinzione e gli scontri, durissimi, si svolgono prima del raggiungimento di Chiomonte. I Black Bloc sono circa duemila, molti provenienti da centri sociali dell’antagonismo radicale e altri – circa 300 – arrivati per l’occasione da paesi esteri. L’esito della giornata vede 188 feriti tra le forze dell’ordine e circa 30 tra gli eversori. In alcuni casi, gravi lesioni hanno richiesto l’intervento di ambulanze.
A seguito degli scontri sono state arrestate 5 persone del nord Italia, tutti antagonisti con precedenti penali.
Due settimane dopo, però, circa 80 No TAV cercano ancora di forzare il proprio ingresso nel cantiere.
La polizia viene quindi mandata a presidiare i cantieri. Secondo i comitati No TAV, l’adozione continua delle forze di polizia come presidio nei cantieri potrebbe avere costi tali da superare i ricavi ottenuti con il finanziamento europeo.
Due settimane fa sono ricominciate le manifestazioni, divenute violente in seguito alla caduta del manifestante Luca Abbà da un traliccio che segna l’ingresso nella valle.
Di venerdì scorso è invece l’appello dei No TAV ai 726 parlamentari europei.
Il cantiere contro il quale oggi si raduna la protesta mira a creare un tunnel di tipo “geognostico”, teso quindi ad appurare la presenza di eventuali ostacoli nel profondo della montagna attraverso la quale passerà poi parte del tracciato.
L’attuale governo ha offerto alle comunità 132 milioni di euro di compensazioni per i disagi che subiranno, aumentando gli importi precedentemente promessi, ma nonostante questo, ad oggi l’opposizione alla TAV continua.