Attualità

Il lungo viaggio dell’alta velocità. Dalla fine degli anni ’80 agli sviluppi futuri

 

 

di Giovanni Cervi Ciboldi

 

Testo realizzato per la trasmissione “L’Italiota”, in diretta il lunedì dalle 17 alle 18 su Ucampus, la webradiotelevisione dell’Università di Pavia.

 

 

Il primo dibattito sulla necessità di collegare Torino e Lione con una linea ad alta velocità si tenne nel 1988.

Un anno dopo, il governo transalpino invitò l’Italia ad unirsi alla sua rete TGV, il corrispettivo francese della TAV: una linea ferroviaria costruita allo scopo di permettere ad appositi treni di raggiungere i 250 chilometri orari e di collegare in modo rapido città e nazioni molto distanti tra loro.
La prima linea veloce in Europa, costruita tra il 1970 e il 1992, fu la cosiddetta “Direttissima”, la ferrovia che oggi collega con 254 chilometri di rotaie Firenze con Roma, permettendo di attraversare un terzo della penisola in soli 95 minuti.
L’obiettivo della costruzione di una infrastruttura ad alta velocità che colleghi Torino e Lione non è solo quello di raggiungere in minor tempo possibile la città al di là delle alpi, che già oggi è raggiungibile in 3 ore attraverso la linea ferroviaria del Frejus. Il tratto è infatti l’anello mancante del Corridoio Europeo 5, la cui realizzazione permetterà di unire Lisbona, posta all’estremo occidente dell’Europa, con Kiev, all’estremo opposto, per permettere un più rapido e fluido trasporto di merci e passeggeri, riducendo anche il traffico inquinante su gomma. Una rete di 5000 chilometri al cui esatto centro staranno i 270 chilometri della tratta Torino – Lione, che costerà all’Italia 6 miliardi e mezzo di euro di cui la metà per il solo tunnel che partendo dalla Val di Susa attraverserà le alpi. La cosiddetta “transfrontaliera” che collegherà Susa con Saint Jean de Maurienne consiste infatti in un tratta di 63 chilometri di rotaie, di cui solo 3 posti in superficie, altri 57 inglobati invece nel tunnel sotto le montagne. Solo 12 però in terra italiana.
Così, nel giugno del 1990 a Nizza, i governi francese ed italiano decidono mettere le basi per rendere realtà quella che fino a quel momento era solo un’idea. Preso l’impegno internazionale, vede la luce il comitato promotore dell’Alta Velocità Torino Lione. Un anno dopo, si avviano i primi studi sull’opera, la cui realizzazione diviene sempre più probabile. Nel 1994 viene creato il gruppo “GEIE Alpetunnel”, che si incaricherà di studiare i tracciati. Nell’ottobre 1991, a Viterbo, inizia il primo dettagliato studio di fattibilità. Il progetto, alla luce dei nuovi risultati, cambiò nome presso l’opinione pubbilca: da TAV – ovvero treno ad alta velocità – a TAC, cioè treno ad alta capacità, spostando l’oggetto del trasporto dal passeggero all’esportazione e importazione di merci.
Nel 1994, il 28 marzo, la Conferenza Paneuropea dei Trasporti identifica nel continente nuovi corridoi di trasporto. Tra essi, vi è il Corridoio 5, di cui la Torino Lione fa parte.
A dicembre dello stesso anno, il Consiglio Europeo di Essen include l’opera tra i progetti di maggiore urgenza: diviene il Progetto Prioritario 6 della UE, che mira ad unire i suoi confini, l’Europa orientale con la Penisola Iberica.
Nel 1999 il primo rappresentante governativo di spicco a calcare il suolo della Val di Susa è Edo Ronchi, il ministro dell’Ambiente del governo D’Alema. Ed è ancora nel 1999 che il famigerato incidente che porta alla chiusura del traforo del Monte Bianco devia sempre più il traffico delle merci sulla linea del Frejus, riportando l’attenzione sulla vicenda TAV.
Di due anni dopo è l’accordo tra i governi francese e italiano, guidati rispettivamente da Amato e Chirac. Sono Jean Claude Gayssot e Pier Luigi Bersani a firmare il cosiddetto “Accordo di Torino” per la realizzazione dell’opera, ratificato dal parlamento nel 2002, seguito poi nel 2004 dal memorandum sulla ripartizione dei costi, con il quale l’Italia si assume l’onere di finanziare il 63% del tratto transfrontaliero, nonostante siano solo 7 i chilometri in terra italiana contro i 45 in terra francese.
“Alpetunnel” viene così – nel 2001 – trasformata in “LTF”, “Lione Torino Ferroviaria”, con lo scopo di occuparsi degli studi e dei progetti della tratta comune ai due paesi. Nel 2003 LTF modifica sostanzialmente il progetto, rendendolo sempre meno invasivo per l’ambiente valsusino: la formulazione dell’ipotesi di far passare il treno in due gallerie per poi raggiungere il grande tunnel non è però esente da dure critiche.
Nel 2005, a Torino, sono scoperte implicazioni in faccende di tangenti dei vertici di società legate al progetto, risalenti a due anni prima. Il progetto però continua, e nello stesso anno, a Venaus – luogo dell’ingresso del tunnel – iniziano i primi sondaggi: è questo il teatro dei primi scontri tra i manifestanti No TAV e la polizia, che continuano nonostante l’emanazione di quello che i valligiani battezzano come il “documento romano”, un atto in cui vengono esposte le ragioni per le quali aderire al progetto ferroviario. Nel frattempo, anche i gruppi “Si TAV” si organizzano in cortei di minore entità.
La situazione, oramai incandescente, porta il governo Berlusconi a concedere l’Osservatorio Tecnico Territoriale delle Infrastrutture del Nord Est, presieduto dal commissario governativo Mario Virano, che ancora oggi vigila sul territorio dal quale il 5 febbraio 2006 passò la fiamma Olimpica, diretta a Torino per l’inaugurazione dei giochi olimpici invernali. Ed è proprio nell’anno delle olimpiadi che viene dichiarata in sede europea la coerenza degli studi sulle previsioni dell’aumento del traffico, contestualmente alle consultazioni ufficiali degli enti locali italiani e francesi.
L’opera nel 2007 gioverà della votazione positiva ottenuta dal Regolamento Finanziario delle Reti Transeuropee, che porterà l’Unione a finanziare per il 30% le opere da lei scelte come non prorogabili: viene accettata quindi la richiesta della Commissione per il finanziamento del progetto, che riceve 671 milioni di euro da dividere tra Francia e Italia allo scopo di portare a compimento la ferrovia, dopo che nell’aprile del 2004 l’opera era stata ribadita come prioritaria e da portare a compimento entro 15 anni.
E sarà l’Osservatorio a smorzare, nel 2008, le contestazioni a Venaus, decidendo di spostare l’ingresso per raggiungere il grande tunnel, con l’appoggio della regione al tempo guidata dalla democratica Mercedes Bresso. Vengono così promossi nuovi sondaggi esplorativi, precisamente 91, da compiersi per approfondire la conoscenza dei luoghi in cui si terrà il cantiere. Il Tavolo Politico convocato a Roma dal Governo approva il rapporto di studi dell’Osservatorio, che include suggerimenti non vincolanti e orientamenti per il futuro.
Contestualmente, in Francia, il progetto viene dichiarato da Francois Fillon come di pubblica utilità.
In Italia, invece, l’Osservatorio apre a un nuovo progetto portato dai tecnici della Comunità Montana, dei Comuni della Val di Susa e di quelli della Zona Nord: nel 2008 nasce infatti “F.A.R.E.” acronimo di “Ferrovie Alpine Ragionevoli ed Efficienti”, un piano programmatico teso a modificare ancora una volta il progetto, dividendone le tappe della realizzazione in “fasi”. E’ la cosiddetta “fasizzazione”, che vincola la realizzazione di nuovi binari al raggiungimento di obiettivi di traffico delle tratte già esistenti: ovvero, qualora la ferrovia si dimostrasse davvero inutilizzata, non avverranno ulteriori scavi. Del progetto, pubblicato nel “Settimo Quaderno” dell’Osservatorio, è stato accolto il solo principio della “fasizzazione”, in quanto le restanti linee operative del progetto “F.A.R.E.” non possono essere prese in considerazioni prese in considerazione, dato che il tracciato da esse delineato non fa uso della tecnologia dell’alta velocità.
Il progetto di LTF, cominciato nel maggio 2009 e oramai mutato, viene presentato in forma preliminare l’anno successivo. Poco dopo però le nazioni coinvolte nel progetto, non riuscendo a trovare un’intesa sulla ripartizione dei fondi, chiedono più tempo all’Unione Europea, proponendo che l’erogazione dei fondi avvenga proprio attraverso una divisione in fasi del progetto.
Prendono così il via i lavori per lo scavo esplorativo di 7 chilometri e mezzo a Maddalena di Chiomonte, quando un folto gruppo di manifestanti impedisce alla polizia di far strada agli operai del cantiere.
Nel frattempo, vista la situazione di stallo nella realizzazione dell’opera, l’Unione Europea ventila la possibilità di ritirare 9 milioni dal finanziamento qualora l’Italia non dovesse stare ai patti: patti che prevedono l’apertura del cantiere entro il 30 giugno 2011.
Il 26 giugno il governo italiano esprime così, attraverso la voce del ministro degli interni Maroni, la volontà di non prorogare ulteriormente la data di apertura del cantiere.
Sono giorni di tensione, in cui agli operai delle ditte appaltatrici è reso difficile operare, tanto che lo stato è costretto a riunire le forze di polizia nella Valle per permettere di dare il via ai lavori.
La situazione di tensione avrà il proprio culmine il 3 luglio durante la manifestazione indetta dai No TAV: tra essi, gruppi di infiltrati provenienti anche da altri paesi europei dà luogo a violentissimi scontri con la polizia, a seguito dei quali verranno arrestati vari antagonisti.
Ad agosto viene approvato il progetto preliminare della tratta, e ad ottobre la Commissione Europea inserisce la tratta Torino–Lione nella lista delle 10 opere più importanti ed urgenti, prospettando un possibile finanziamento pari al 40% dei costi.
A gennaio del 2012 giungono inoltre i nuovi accordi italo-francesi, soprannominati “Promotore Pubblico” o “Low Cost” che, oltre a riconfermare le risposte date alle popolazioni locali, decidono di abbassare decisamente i costi di realizzazione.
I nuovi accordi fissano inoltre la sede operativa a Torino e quella legale a Chambery, e pongono la data ultima per la consegna del progetto definitivo della Stazione Internazionale di Susa al dicembre di quest’anno.
Entro il gennaio 2013 sarà invece ultimato il progetto definitivo della tratta transfrontaliera che attraverserà le alpi, abbattendo il confine tra Italia e Francia.
Di pochi giorni fa è invece la notizia che le compensazioni destinate al territorio valsusino sono arrivate a 132 milioni di euro.