Concorsi

Un incosciente infrange la barriera corallina del suono

Racconto di Maya Artusi Moro e Vittoria Poggi – 5° classificato al Concorso Letterario “Sogno, superstizione, magia” 2022.

Il 14 maggio 1932, il Banco dei Silenti di Capo d’Olio e il Baccello dei giurati per il premio “Acqua in bocca”, a seguito del mancato ritiro del trofeo da parte della cittadina vincitrice, Capo Schaum, ha disposto l’apertura di un’inchiesta a fine di sondare le ragioni di tale inadempienza. In qualità di responsabile dell’intervento, il sottoscritto Dottor Nickerchen ha provveduto a dare risposta alle seguenti problematiche:

a) Se la misurazione rilevata dal Fonometro circa l’inquinamento acustico del borgo non fosse stata compromessa da fattori quali: malnutrizione e/o indisposizione di Vostra Immensità il Capodoglio Magno, bussola sonora ecolocalizzante a cui spetta l’individuazione della città più silenziosa dell’anno.
b) In caso di risposta negativa al quesito precedente ed avendo comprovato che la pressione sonora annuale prodotta da umani fosse veramente pari a 0 decibel (0 dB), verificare sul posto se qualche calamità non abbia perturbato l’ambiente nel suo complesso. In alternativa, accertarsi che la popolazione, di comune accordo, non stesse mettendo in atto una frode ai danni dello Stato.
c) Confutata ciascuna delle soprastanti ipotesi, si ritiene imperativo per la comunità scientifica tutta comprendere come sia stato possibile non emettere un singolo suono umano (fosse questo un saluto, una domanda, un vagito) nell’arco di 365 giorni, 6 ore, 9 minuti e 9,54 secondi.

Gli esiti della disamina da me condotta in loco per una durata ad oggi di giorni 31, a stretto contatto con gli abitanti di Schaum, possono modestamente essere descritti come rivoluzionari. Nella stesura di questo rapporto intendo con fermezza non lasciarmi trascinare dalle onde dell’euforia ed attenermi alla limpidezza consona ad un uomo di mare. Innanzitutto, la città è situata sul promontorio di Schaum, da sempre sfocio privilegiato dai cetacei nella loro migrazione primaverile verso l’Oceano Settentrionale. Il 90% della popolazione in età da lavoro è impiegata nella produzione artigianale di una particolare tintura al fosforo che viene successivamente applicata alle pinne di balene, orche e delfini per l’avvistamento a distanza. Ora, ciò che sgomenta un forestiero che vi perviene, come accaduto a me medesimo, è la totale assenza di comunicazione tra esseri umani. Attenzione, qui mi riferisco all’astensione volontaria ad ogni genere di linguaggio, sia esso verbale, scritto o visivo da parte di ciascun schaumiano. L’estremizzazione di questa pratica ha portato alla grave penuria di qualunque strumento di scrittura: non vi sono importazioni, né tanto meno esportazioni, di carta, inchiostro, penne, figuriamoci macchine da scrivere. Perfino le cannule della mia stilografica sono state irrimediabilmente intaccate da infiltrazioni saline dovute al clima del luogo, risultando inutilizzabili. Ciò che non mi tornava era l’evidente presenza di rapporti umani nella cittadina che prescindevano dalla semiotica; come si fossero formati nuclei familiari, gerarchie sociali e gruppi di lavoro quando le persone si astenevano addirittura dal guardarsi negli occhi (intenti com’erano alle loro occupazioni in maniera compulsiva) era per me un mistero. Talmente immerso nelle mie confabulazioni cerebrali a riguardo, credevo di formulare inconsciamente nella notte sogni ancora più assurdi della realtà in cui mi trovavo. È arrivata solo poi la realizzazione che questi deliri notturni fossero la chiave di tutto. Il giorno 7 si era rivelato tanto infruttuoso quanto i precedenti, occupato interamente da vane perlustrazioni; non fosse che, lo debbo confessare, la mia dose giornaliera di caffeina aveva subìto un sovradosaggio di 200 millilitri (200 ml). È stato forse a causa di questo surplus che mi risultava difficoltoso prendere sonno, pur essendomi coricato al consueto orario delle 21:30. Le immagini che mi scorrevano dietro le palpebre non avevano l’inconsistenza e l’incoerenza dei sogni, ma erano anzi vivide e dotate di una consequenzialità pari al mondo reale. Ad aggiungersi a ciò, in quest’ultimo stadio di coscienza permeava un indecifrabile sollievo. Lentamente mettevo a fuoco le sagome di altre persone, le stesse che avevo studiato proprio lì a Schaum, e assorbivo da esse un festoso elemento che non era mai appartenuto loro: la voce. Ecco che dopo un’intera settimana di quiete assoluta, tornavo ad udire gli schiamazzi dei bambini, i borbottii dei vecchi, una marea di sane risate. La mia bolla tra dormi e veglia, con le sue sgraziate note quotidiane, iniziava a diventare più sensata per me della città stessa. Oltre questo carnevale di suoni, però, comparvero presto stonature alquanto bizzarre. Abbandonai la mia contemplazione passiva quando mi sfilò accanto un’impettita maestra col suo trenino di bambini, l’uno con la manina sulla spalla dell’altro; l’ultimo in coda – che di certo infante non era col suo metro e ottanta – strascicava i piedi, ingobbito, per stare al passo. Il pover’uomo dovette flettere le ginocchia all’inverosimile per potersi incastrare in uno dei banchetti della classe; mentre la professoressa dettava la traccia del tema, il suo foglio protocollo era già bucato di lacrime. Empatizzai all’istante con lui. In fondo chi non ha mai sognato di dover sostenere di nuovo un esame scolastico? Neanche il tempo di scrollarmi di dosso quel disagio che un fanciullo mi planò sopra la testa per dispetto. E mentre questo volava libero come un gabbiano, un altro annaspava sospeso in aria, urlante, convinto di schiantarsi a terra da un momento all’altro. Ritenni opportuno indietreggiare, in quanto era chiaro che il fenomeno andasse osservato ad una distanza di sicurezza. Fu in quel frangente che ebbi una fortunata collisione con un collega in camice bianco, chinato a setacciare il suolo alla ricerca dei denti che gli erano appena caduti. Finalmente un degno interlocutore a cui sottoporre qualche domanda di contesto. La rilevanza della risposta mi porta a dover citare testualmente:

“[…] Ciò che vedi è la soluzione a oggi più efficace al dramma dell’inquinamento acustico umanoide. Noi schaumiani abbiamo collettivamente deciso di circoscrivere alla dimensione inconscia l’esuberanza della comunicazione orale e per buona misura anche il lento formalismo di quella scritta. Se durante il giorno dedichiamo interamente noi stessi al lavoro, realizzando il dapprima utopico modello del villaggio-acquario, di notte, nella condivisione di un sogno collettivo, ci abbandoniamo a innocui trambusti e attività ludiche.”

La citazione qui va interrotta in quanto l’esimio dottore perse quegli ultimi denti che gli permettevano di parlare in modo comprensibile. Poco importa. Non solo avevo afferrato l’intera situazione, ma ne avevo già intuito una falla: per quanto, infatti, tale raggiungimento fosse lodevole dal punto di vista scientifico, ciascun sognatore doveva costantemente fare i conti con i fastidiosi meccanismi reiteranti del mondo onirico. Compativo lo sventurato ragazzo che tentava di dichiararsi all’amata, seppur consapevole di essere completamente nudo, e quella disgraziata che inciampava in mille imprevisti, certa di essere in ritardo. Non oso nemmeno immaginare in quale angolo iperuranico potessero aver relegato fantasie decisamente meno pudiche. Complessivamente, signori giurati, al fine di assorbire le silenti abitudini della Balena – espressione più alta di perfezione e quiete su questo pianeta immerso nel caos – reputo fondamentale prendere in considerazione l’archetipo sociale proposto dalla città di Schaum, seppur migliorabile nelle sopracitate problematicità. Confido che il seguente scritto (rivoluzionario e controcorrente) abbia il riconoscimento che gli spetta, anche a fronte della sua impraticabile stesura: infatti per me, finché rimango qui, è impossibile scrivere e/o comunicare alcunché se non sognando. Mh.

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