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Stan Lee non ha creato nulla

I necrologi delle persone famose si differenziano da quelli di tutti gli altri per la presenza della formula “quello/a di” o “quello/a che”. “È morto Fabrizio Frizzi”, quello dell’Eredità”, “è morto John Lennon, quello di Imagine”, “è morta Rita Levi Montalcini, quella che ha vinto il Nobel per la Medicina” e via dicendo. Non si vuole certo in questa sede puntare il dito contro l’uso di un’espressione di indubbia utilità e convenienza, specialmente qualora l’associazione di arte e artista, per quanto superficiale, sia di fatto corretta. Ma dire “è morto Stan Lee, quello che ha creato la Marvel” non è solo riduttivo ma quasi sbagliato. Dal 1960 ad oggi sono esistiti due Stan Lee: quello della leggenda e quello meno leggendario, diciamo (chiedendo scusa per la vacuità dell’aggettivo) “reale”. Come sovente accade, quello “reale” non corrisponde proprio al personaggio della leggenda. Ma ciò non significa neanche che la persona dietro la leggenda valga meno del proprio mito.

Bisogna infatti fare molta chiarezza sul reale apporto che Stanley Martin Lieber (questo il suo vero nome), classe 1922, ha dato non solo alla casa editrice presso la quale fu assunto come assistente di redazione nel ’39 ma anche a tutto il mondo dell’intrattenimento, smorzando ora qualche merito a volte ingigantito ed ora elogiandone altri spesso messi in secondo piano. Tanto per cominciare Stan Lee non ha creato Batman, come i nostri colleghi di Bergamo News hanno affermato a poche ore dall’annuncio della morte (salvo poi correggersi poco dopo sostituendo il pipistrello con un altrettanto famoso Spider-Man). Sono piccolezze certo, ma che ci danno l’idea di quanto la figura di Stan Lee possa essere stata ingigantita e per questo quasi banalizzata. Ma Stan Lee non ha creato neanche la Marvel o almeno non l’ha fondata.

Stan Lee fu assunto presso la Timely Comics (la futura Marvel) grazie al suo zio materno, Robbie Solomon, la cui figlia Jean, cugina di primo grado di Stan, era sposata col proprietario e cofondatore della casa editrice, Martin Goodman. Al cinema il suo nome, prima ancora del suo volto, campeggia su praticamente tutti i film Marvel come non meglio specificato produttore esecutivo, ma se andiamo nel dettaglio a vedere quanto di fatto ci sia di Stan Lee nei film e nelle serie Marvel anche qui rimarremmo un po’ delusi. Gli X-Men? Ma almeno la metà degli X-Men cinematografici (uno su tutti il Wolverine di Hugh Jackman) non proviene dalle sue storie e in generale tutta la saga cinematografica dei mutanti deve molto di più a Chris Claremont che a Stan Lee. Stessa cosa dicasi per quasi tutte le incarnazioni cinematografiche di Spider-Man, debitrici ogni volta più alle rivisitazioni del personaggio negli anni 2000 che alle storie originali di Lee e Ditko; e tutto il Daredevil che potrete vedere tra cinema e televisione è in sostanza un adattamento della visione di Frank Miller del personaggio. Senza contare creazioni come Ghost Rider, Deadpool, Blade, i Guardiani della Galassia, Venom e lo stesso Thanos, personaggi che oggi nel bene o nel male portano avanti il nome della Marvel nel mondo ma che non sono figli di Stan Lee.

Si potrebbe dire che in ogni caso Stan Lee ha avuto l’intuizione originale, quel guizzo creativo che poi altri artisti e autori dopo di lui hanno sviluppato negli anni. Ma anche qui dovremmo andarci cauti perché a conti fatti non sono molte le creazioni veramente originali di Lee. Nel 1963, come risposta alla pubblicazione della Justice of League della casa editrice rivale, la DC, e su esortazione dello stesso Goodman, Stan Lee e Jack Kirby realizzarono “i Fantastici Quattro” i primi veri personaggi dell’“Era Marvel”. Tre anni prima però sempre alla DC, Jack Kirby aveva creato i “Challengers of Unknown” gli esploratori dell’ignoto. Un gruppo di quattro giovani avventurieri (uno scienziato, un picchiatore e due scavezzacolli) i quali, dopo essere sopravvissuti a uno schianto aereo, decidono di dedicare la loro vita al pericolo e all’impossibile al servizio sempre e comunque delle Zio Sam. Vi suona familiare tutto questo? Ma il successo della testata evidentemente non fu tale da spingere la DC a gridare quantomeno al tentato plagio. Il successo dei Fantastici Quattro fu invece travolgente. Chiamatela fortuna o chiamatelo intuito ma quello che è certo è che i Fantastici Quattro hanno retto e continuano a reggere la prova del tempo. Non chiamatela però originalità.  Andiamo avanti e proviamo con altri personaggi e altre storie che portano il nome di Stan Lee. Gli X-Men? Un remake marvelliano della Doom Patrol della DC, fumetto del giugno 1963 (gli X-Men sono dello stesso anno ma di settembre). Ant-Man? Una creazione di Jack Kirby assieme al fratello di Stan, Larry. Dottor Strange? Praticamente una creazione quasi totale di Steve Ditko con giusto qualche dialogo sceneggiato da Lee. Per non parlare di tutto il filone più autenticamente mitologico, come Thor e Loki, veri e propri personaggi del folklore popolare nordico ripescati abilmente da Stan Lee e sceneggiati quasi sempre e ancora da suo fratello minore, il prolifico Larry. Forse solo Silver Surfer, il suo personaggio più amato, può dirsi una creazione quasi del tutto originale. Ma quello che alla storia passerà come il famoso “Metodo Marvel” altro non era che uno stratagemma redazionale per velocizzare la realizzazione delle tavole a scapito della salute mentale dei disegnatori: in pratica Stan dettava al telefono un abbozzo di trama del numero, dava un numero di pagine e incaricava il disegnatore di sviluppare il tutto anche con le nuvolette di dialogo che poi lui avrebbe riempito. Non proprio il brainstorming artistico che ci aspetteremmo.

In cosa consiste allora l’innegabile contributo di Lee non solo alla Marvel ma in generale a tutto il mondo dell’intrattenimento? Ebbene a leggere Sean Howe nel suo “Marvel Comics – Una storia di eroi e supereroi” edito in Italia da Panini Books, sembrerebbe proprio che Stan Lee fosse il miglior pubblicitario di sé stesso, prima, e della Marvel, poi. Stan aveva capito che era fondamentale instaurare coi propri lettori un rapporto diretto, di fiducia e che sembrasse quasi esclusivo. Motivo per il quale nelle sue fanzine, cioè gli editoriali pubblicati a fine albo, Stan si rivolgeva ai suoi lettori salutandoli, chiamandoli true believers (veri credenti) adottando espressioni come nuff said ed Excelsior! (che è poi il motto dello stato di New York, ancora niente di originale). Questo perché Stan sapeva bene che il cuore pulsante di una letteratura che aveva il vantaggio di essere molto più facilmente fruibile rispetto a quella convenzionale, erano i lettori che non dovevano solo essere deliziati con storie avvincenti e trame appassionanti ma fatti sentire parte loro stessi di quell’universo. Non stupisce in questo senso che molti tra i più talentuosi artisti della Marvel furono prima di tutto degli appassionati lettori della stessa; per dare giusto un paio di nomi citiamo Roy Thomas, Todd McFarlane e il sopracitato Frank Miller.

Se vogliamo ricordare Stan quindi dobbiamo farlo citando due aspetti fondamentali della sua vita editoriale e artistica. Il primo è lo Stan “demiurgo” ovvero non creatore ma ordinatore di storie e personaggi nati ben prima del suo lavoro. Stan di originale non ha creato niente o quasi niente ma proprio come la divinità platonica ha ricollocato idee immanenti del mondo iperuranico nel mondo fisico. Uno sforzo questo, sia esso frutto di una vera vena artistica o di necessità di mercato, che ha dell’encomiabile e che è già passato alla Storia facendo la differenza non solo nel campo dell’intrattenimento ma della letteratura e della cultura in generale. Il secondo Stan che vogliamo ricordare è lo Stan creatore sì, ma non di personaggi e universi bensì di spazi. Stan era un creatore di spazi all’interno dei quali i lettori potevano conoscersi e riconoscersi grazie alla passione comune. E in questo il lettore, proprio grazie alla capacità di Stan Lee di familiarizzare con esso come nessun altro, si sentiva immerso in quello spazio a metà tra realtà e fantasia, al quale sentiva di appartenere e viceversa. Stan faceva questo: creava spazi e se non ci credete provate a chiedere a un qualunque lettore Marvel l’importanza di Stan Lee per lui o lei. Vi parlerà quasi sicuramente delle letture della sua infanzia e giovinezza e di come tramite esse abbia instaurato magari nuove e durature amicizie veicolate dalla passione in comune per questo o quel personaggio. Io stesso posso testimoniare che per me è andata così e addirittura mi fa sorridere l’idea che la prima persona con la quale al telefono ho parlato della morte di Stan sia un mio carissimo amico che non ho mai conosciuto di persona ma con il quale ormai mi sono confrontato più volte su temi fumettistici e non. E questo grazie a Stan.

Credo sia rincuorante sapere che, in un mondo come quello attuale dove l’industria dell’odio e il mercato del disinteresse fanno affari a spese nostre, una persona e le sue idee abbiano creato spazi di condivisione tramite il mezzo più squisitamente umano e più antico, il raccontare storie. Ricordiamo Stan allora per quello che è stato per noi lettori: Stan era quello dei nostri spazi, delle nostre storie, dei nostri ricordi e delle nostre amicizie. Non male per uno che di fatto ha creato poco o nulla.

Excelsior!

 

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