Cultura

“Shame”, la vergogna secondo McQueen

di Federica Mordini

“Shame” è uno di quei film scomodi, impossibile da raccontare usando mezzi termini. La nuova pellicola targata Steve McQueen, infatti,  catapulta lo spettatore in una dimensione così estrema che, una volta giunti ai titoli di coda, la sensazione di disagio accumulata risulta oltremodo tangibile, al punto che diventa arduo avanzare un giudizio velato o distaccato. Alla base del sentimento di vergogna ci può essere una miriade di ragioni, talmente diverse tra loro da ampliare la casistica in maniera esponenziale. La “vergogna” di McQueen,però, riguarda  la cosiddetta “sex addiction”, una dipendenza che, per ora, appartiene ancora al jet set Hollywoodiano, rimanendo lontana dalla portata comune. In una metropoli, New York, del ventunesimo secolo anche il sesso rientra in punta di piedi nel  podio delle ossessioni  a cui l’ antieroe metropolitano ricorre per evadere dalla realtà.

Ecco che il sesso in tutte le sue varianti, diventa per Brandon, trentenne piacente e di successo, non solo una malattia, ma anche un elemento vitale per colmare quel vuoto che si porta dentro sin dall’infanzia misteriosa e turbolenta vissuta nel New Jersey. Un famoso detto recita che “gli occhi sono lo specchio dell’anima” ed è proprio attraverso lo sguardo fermo, famelico e patologico di Brandon che lo spettatore viene trascinato di forza e quasi malvolentieri nell’equilibrio precario che caratterizza la sua esistenza. Equilibrio che viene messo a dura prova dall’arrivo improvviso della sorella Sissy, che accresce il grado di tensione interiore di Brandon, spingendolo sempre più verso il superamento dei limiti della decenza imposti dalla società. Toccare il fondo, però, non è poi così difficile e il protagonista lo scopre, subendo le conseguenze delle proprie scelte e trovandosi a fare i conti con la vergogna.

La regia di McQueen inquadra, senza particolari meriti e con stile piuttosto ordinario un soggetto extra-ordinario e insolito. La ricerca ossessiva del piacere entra con prepotenza nel nostro immaginario attraverso un contesto visto e rivisto, quello della metropoli dalle mille facce, ma proposto decisamente senza filtri. Ecco che seguendo l’algido Brandon nella ricerca spasmodica della sua droga, lo spettatore scopre il lato nascosto di New York, che all’evenienza si trasforma magicamente in un “paese dei balocchi” a luci rosse. Ma non è tutto.  Si ritrova, inoltre, a dover fare i conti con il marcio che si nasconde dietro ad una società che propina valori classici ma che, in fin dei conti, costringe il debole a ricercare se stesso dentro ad un vortice di dissoluzione, a causa dei suoi ritmi insostenibili. Nel mondo in cui viviamo tutto ha una scadenza, le relazioni non possono essere che rarefatte e l’evasione diventa pericolosamente borderline, questo sembra comunicarci “Shame”, film acclamato dalla critica internazionale e che ha consacrato Michael Fassbender, l’interprete principale, a nuova leva talentuosa dell’Olimpo cinematografico.

Nonostante il disagio e l’amarezza che questo film regala senza complimenti, si tratta di una pellicola che vale il prezzo del biglietto, anche solo per godersi la magistrale interpretazione di Fassbender, che gli è valso il premio come “miglior attore” all’ultima Mostra del Cinema di Venezia.

 

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