Scienza

I fulmini: un fenomeno “elettrizzante”

Fotogenici, pericolosi ed imprevedibili: con una media di 20.000 Ampere di intensità in 0,2 secondi, i fulmini sanno illuminare i cieli più plumbei. In questo articolo carico di curiosità, faremo un breve viaggio all’interno di questo straordinario fenomeno naturale. Fin dai primi uomini, i fulmini venivano associati alla manifestazione della potenza divina. Da quel momento, la scoperta scientifica ci ha permesso di fare numerose scoperte sul loro conto, ma molti aspetti del loro comportamento non sono ancora stati svelati. L’ambasciatore della scoperta di questo fenomeno naturale fu Benjamin Franklin, a metà del Settecento, mediante il famoso esperimento dell’aquilone: prova estremamente pericolosa, monito di coraggio e, in parte, di un goccio di ingenuità scientifica. Sperimentare con questi eventi però non è da tutti, di sicuro non per chi soffre di ceraunofobia, ossia la paura di tuoni e lampi. In realtà essere colpiti da un fulmine è un evento piuttosto raro: accade ad una persona su 3000 e non è quasi mai mortale.

FulminiIl colore bianco vivo di questa saetta ci suggerisce un’aria molto povera d’umidità e, pertanto, un elevato rischio di incendi.

Oggi quel che sappiamo con certezza è la causa di questo magnifico fenomeno naturale. I fulmini infatti, nascono quando c’è una differenza di potenziale di almeno 10.000 Volt tra due punti della cella temporalesca o tra le nubi ed il suolo. Ciò che noi percepiamo però è solo la scarica finale, essa infatti è preceduta da una microstruttura ramificata, carica negativamente ed invisibile, che prende origine dalla nube e scende con andatura irregolare verso il suolo. Al polo opposto, oggetti alti, metallici o appuntiti che sporgono dalla superficie terrestre generano dei canali ionizzati positivi che risalgono verso la nuvola stessa. L’incontro delle due ramificazioni mette in collegamento i due poli opposti, liberando così una scarica elettrica che surriscalda il percorso seguito e sprigiona enormi quantità di luce e calore che lo rendono visibile ad occhio nudo.

Austraia Brisbane img 3Il colore rossastro di questa tempesta di fulmini sopra la città di Brisbane, in Australia, ci indica piogge in atto su quella zona.

Le leggi fisiche che regolano questo potente evento naturale non sono molto diverse dai principi utilizzati per la corrente elettrica domestica, ma allora perché non possiamo sfruttare i fulmini come fonte d’energia? La risposta è molto semplice e di carattere pratico. L’energia sprigionata da un fulmine non può essere immagazzinata poiché consiste in un violento spostamento di particelle cariche. Per spiegare questo concetto, è utile ricorrere ad una vecchia metafora, che paragona la saetta ad una cascata. L’energia infatti non è data dall’acqua in sé, ma dalla caduta del liquido stesso, esaurendosi quando esso raggiunge il suolo. Detto ciò, l’uomo non disporrebbe comunque dei mezzi necessari a catturare una tale potenza distruttiva, basti pensare che la temperatura dell’aria folgorata può raggiungere i 30.000°C. È proprio questo drastico rilascio di calore a determinare un’espansione esplosiva che ad una certa distanza si manifesta con un boato: il tuono. Dato che il suono si propaga a 340 metri al secondo e la luce a 300.000 chilometri al secondo, si ha una notevole differenza tra la visione del fulmine e la percezione del tuono, che varia esponenzialmente in base alla distanza tra il soggetto e la scarica. Nel mondo, ogni giorno, sono generate più di 5 milioni di scariche elettriche, prodotte dalle 4000 celle temporalesche che si formano ogni istante sul nostro pianeta in modo più o meno prevedibile.

img 1Le sfumature viola-azzurre di queste saette preannunciano una possibile grandinata.

Con una lunghezza che può arrivare fino ad un massimo di 20 km, i fulmini sono un pericolo reale per tutti gli amanti della fotografia che sperano di immortalare questi attimi estremamente fotogenici. Le regole per evitare un’esperienza elettrizzante sono pressoché sempre le stesse: evitare di ripararsi nei pressi di alberi, pali o muri e di stare in spazi aperti lontano da oggetti appuntiti o metallici, meglio ancora se accovacciati o distesi. Ricordiamoci però che essere colpiti da un fulmine non è l’unico rischio, il pericolo risiede anche nella fulminazione secondaria dovuta al passaggio di corrente nel terreno, causando danni all’organismo. I fulmini però, sono troppo veloci per essere colti, nella loro interezza, dall’occhio umano, che trasmette al cervello circa 24 immagini al secondo: ecco spiegata la necessità di una macchina fotografica moderna in grado di effettuare scatti ad altissima velocità.

Ma perché si verificano per lo più in estate ed in città? Non è un mistero. In inverno il sole è basso all’orizzonte e le giornate sono più brevi, questo non permette al cemento e all’asfalto di scaldarsi tanto quanto accade durante il periodo estivo. Infatti, i materiali maggiormente presenti nelle nostre città aumentano notevolmente l’evaporazione dell’umidità presente nelle giornate più torride, alimentando la formazione delle nubi e creando un’instabilità atmosferica necessaria alla formazione delle celle temporalesche.

finaleEdifici alti con parti metalliche sulle loro sommità attraggono fortemente i fulmini di un temporale estivo, come in questa foto.

Insomma, i fulmini non smetteranno mai di stupirci e di attrarre la nostra curiosità, ma occhio a non vivere un’esperienza “elettrizzante”.

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