Attualità

Quando i ladroni non stanno più a Roma

 

di Francesco Iacona

 

È senz’altro il personaggio del momento, Umberto Bossi. L’indiscusso leader ideatore della fantomatica “Repubblica Federale della Padania” – nonché promulgatore dell’indiscutibile “celodurismo” leghista  – è coinvolto in prima persona nello scandalo giudiziario che proprio negli ultimi giorni ha colpito la “Lega nord”. Certo, al momento pare non abbia responsabilità dirette; tutti i suoi adepti sottoposti sostengono che egli sia sempre stato all’oscuro delle ruberie partitiche compiute dai figli e da altri membri del partito. Ma è difficile credere a ciò.

E nel frattempo che le indagini proseguono e che i «l’avevo detto che quei tizi vestiti di verde non me la contavano giusta» prendono il sopravvento sulle reazioni di sorpresa, una parte dei militanti leghisti si è schierata al fianco dell’Umberto, amato e venerato (forse con un po’ d’eccesso?) come un messia. Alcuni sono addirittura arrivati a sostenere che «la Lega con i suoi soldi può farci quello che vuole!», senza rendersi conto che il denaro di cui il partito dispone è quello fornito dallo Stato (cioè da tutti i cittadini italiani) per i rimborsi elettorali oltre a quello che i militanti stessi hanno versato sottoscrivendo la tessera, credendo fortemente in un ideale politico.

Ma oltre a queste prese di posizione – assunte sia per ignoranza culturale, sia per divismo nei confronti del leader – all’interno del movimento leghista ci sono anche molti dissensi e molta indignazione. Infatti, parecchi militanti che avevano affidato i loro ideali al partito della “Lega nord” si sono giustamente sentiti traditi.

Ed è soprattutto il famoso grido di battaglia “Roma ladrona”  – che da sempre ha contribuito a rafforzare il brand leghista – a lasciare perplessa l’opinione pubblica. È ipocrita gettare infamia sulla Capitale e su tutto il Meridione quando si è i primi a comportarsi in maniera disonesta.

Ovviamente i vertici leghisti stanno cercando di limitare i danni isolando coloro che sembrano essere gli unici colpevoli e cercando di ridurli a una minoranza del partito. Ma è anche facile dire che «chi ha sbagliato deve allontanarsi spontaneamente dal partito, prima che ne venga cacciato»; ma è ragionevole credere che i Calderoli, i Maroni, i Salvini e lo stesso Bossi non sapessero niente? Effettivamente crederlo è difficile. Certamente le indagini sapranno far maggiore luce su tutta la storia.

Fin’ora, gli effetti principali di questo polverone sono stati le dimissioni dei due Bossi: Umberto, che si è dimesso dalla segreteria del partito, e Renzo (detto Trota), il quale – ed è una novità dell’ultima ora – ha annunciato che rassegnerà le dimissioni dall’incarico di consigliere regionale in Lombardia.

Le novità di questi ultimi giorni hanno causato un notevole indebolimento della “Lega nord” a livello giudiziario e soprattutto a livello d’immagine. Ora sarà interessante vedere quali saranno i risultati delle elezioni amministrative di maggio, nelle quali l’obiettivo principale, oramai, sarà quello di accusare il meno possibile il colpo.

Sarà forse che, dopo tanti anni, la “durezza intima” dei leghisti si stia pian piano ammosciando?

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