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Planet Earth II, il documentario dei primati

Mi pare che i tempi siano maturi per trattare di una serie televisiva che nell’ultimo anno ha fatto molto parlare di sé in tutto il mondo. Si tratta di una serie di documentari che, per la qualità e la pulizia d’immagine, unita ad un montaggio di stampo cinematografico, rapisce e coinvolge lo spettatore come nessun altro prodotto di questo genere. Serie frutto dell’intraprendenza di Sir David Attenborough, che all’età ormai di 90 anni, è tornato a scuotere il torpore che ultimamente attanagliava questo genere.

Nel 2012 Sir Attenborough, con l’intento di riprendere, ampliare e perfezionare un progetto che vide la luce nel 2006 con il primo Planet Earth – il quale portò nel 2009 all’esperienza già altamente coinvolgente di Life -, si recò negli uffici della Natural History Unit della BBC (il più importante dipartimento di documentaristica naturale al mondo), pretendendo, Dio solo sa (oltre all’emittente e al Piero Angela inglese) quante risorse economiche e tecnologiche per la realizzazione di una colossale impresa, che aveva l’obiettivo dichiarato di arrivare laddove nessuno in questo genere aveva mai osato spingersi. E così, dopo quattro anni di lavoro, fatti di 117 spedizioni in 40 diversi paesi del globo, che hanno reso possibile l’acquisizione di oltre 400 terabyte di girato in un totale di 2089 giorni di riprese, vede la luce Planet Earth II (2016, BBC).

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Al suo debutto nel Regno Unito, in prima serata, registra uno share del 40.6% contro il 21.9% di X Factor, trasmesso in contemporanea, acquisendo nei mesi successivi un tale successo da spingere IMDb ad inserirlo al vertice della propria classifica web delle 250 serie più amate dal pubblico, battendo di netto Games of Thrones (4° posto) e Breaking Bad (5° posto). Ma a cos’è dovuto questo clamoroso trionfo? Senz’altro la qualità di contenuti ed informazioni – che da sempre contraddistingue i documentari BBC- unita alla varietà di specie animali e di habitat presi in considerazione giocano un ruolo fondamentale, ma è su un altro nodo che si gioca la fortuna di questo prodotto: un equipaggiamento degno di una spedizione NASA in termini di sofisticatezza tecnologica, che conferisce una nitidezza e definizione estrema al risultato finale. Ma procediamo con ordine.

Planet Earth II è il primo documentario girato interamente in Full UHD+HDR, e tutte quelle inquadrature che nei precedenti documentari erano costrette ad essere fisse, qui sono in movimento. Questi due aspetti “bastano” a conferire ad ogni puntata la fotografia e l’andamento più cinematografici che abbiano mai ottenuto i documentari BBC. I dieci anni che lo separano dal progetto madre di Planet Earth hanno permesso al progresso tecnologico di “compattare” cineprese ad alta definizione in volumi ridottissimi, cosa che ha permesso ai produttori di portare tali avanzati strumenti laddove prima sarebbe stato impossibile. Le riprese della battuta di caccia del lupo delle nevi, sono state rese possibili da un elicottero dotato di una Heligimbal Cineflex: una straordinaria camera con una lente 400 mm zoom svincolata dalla struttura, ed inserita in un sistema ad anelli detto appunto Gimbal, che rende il suo movimento indipendente da quello del mezzo e stabilizza l’inquadratura sfruttando il principio del giroscopio. Le riprese notturne della lotta tra il pipistrello e lo scorpione sono state realizzate modificando ad infrarossi una Red Dragon 5K, col risultato di un’immagine a contrasto in bianco e nero estremamente dettagliata. Per comprendere la portata tecnologica della strumentazione con la quale è stato plasmato questo progetto, basti pensare che la Sony A7s,utilizzata per il girato notturno a colori, ancora non esisteva quando iniziarono le riprese. La troupe si è avvalsa di un supporto che riproduce l’effetto di una steadycam ma senza bisogno dell’imbragatura, rendendo l’operatore libero di maneggiare una macchina che, grazie ad un giunto cardanico orientato su un sistema di tre assi e stabilizzato da due motori esterni, concede tanta libertà di movimento quanta pulizia d’immagine. Le primissime riprese dell’azione di caccia di un leopardo in ambiente urbano sono state effettuate grazie, all’unione dell’infrarosso al rilevatore termico, con uno zoom ad alta definizione che permette di distinguere persino i baffi del felino. Per riprodurre l’effetto del volo dell’aquila, la produzione ha deciso di affidarsi all’esperienza del paraglider italiano Aaron Durogati, ultimo vincitore della Coppa del Mondo di Parapendio, che ha volato in tandem con il cameraman Jonathan Griffith, già suo collega al RED BULL Peaks Trilogy. Molti di questi, tuttavia, sono aspetti trattati alla fine di ogni puntata, dove, in un mini meta-documentario, vengono descritti, per esempio, i giorni impiegati dalla troupe a prendere confidenza con le scimmie di Bombay, o le operazioni di stesura di quelle centinaia di metri di cavo che supportano le carrucole con le quali sono stati “pedinati” questi primati. Di forte impatto è stato anche l’apporto di Rob Whitwort, il più esperto cameraman al mondo per quanto riguarda gli hyperlapse (timelapse dinamici ottenuti montando diverse inquadrature) di cui Planet Earth II è particolarmente ricco.

Se a tutto ciò si aggiungono le colonne sonore firmate da Hans Zimmer e la voce narrante di Attenborough, che nella versione italiana è egregiamente sostituito da Andrea Piovan, si ottiene un prodotto di sublime qualità, capace di catturare ed immergere lo spettatore in una natura che mai è stata, su uno schermo, così nitida.

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