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Meritocrazia “fai da te”

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di Antonio Borretta

Chi fa da sé fa per tre. Anzi, per sette. Infatti proprio in questi giorni, a Trieste, un’ex insegnate di filosofia in pensione ha lasciato in dono a sette ragazzi i suoi appartamenti e un sacchetto di gioielli. Proprio come una nonna che lascia in eredità ai propri nipoti i suoi beni, ma con una considerevole differenza: ad ereditare i preziosi beni non sono stati gli eredi sui, bensì sette giovani studenti, scelti dalla signora fra i più meritevoli dei licei triestini.
La generosa donatrice si è rivolta ai presidi dei due importanti licei e ha manifestato la sua decisione (“Voglio fare una donazione a ragazzi bravi e con reddito non altissimo”), invitando i presidi a sfogliare i registri e ad indicarle i migliori studenti. Trascorsi alcuni mesi, la signora, scocciata per l’inadempienza del personale amministrativo delle due scuole, che non era riuscito ad individuare i suoi futuri eredi, ha deciso di fare da sé. Guida telefonica alla mano, ha chiamato i sette ragazzi da lei scelti e li ha invitati a casa sua dove ha tirato a sorte i suoi beni. La dama non ha però concesso incondizionata fiducia ai ragazzi, ma ha posto una condizione: il bene non potrà essere venduto prima che i ragazzi compiano ventisei anni, età in cui i ragazzi (si suppone) saranno laureati. Clausola, questa, che suona come un saggio ed autorevole “prima te lo guadagni”.
Un atto speciale, una storia più unica che rara. In uno Stato dove la parola meritocrazia sembra un’utopia cara ai benpensanti, in un Paese dove i concorsi pubblici sono spesso decisi prima di cominciare, in un sistema dove si è ancora troppo legati alle raccomandazioni e alle parentele, dove il governo taglia i fondi universitari per la ricerca, dove il parlamento parla tanto e decide poco, ci ha pensato una signora a ridare un po’ di fiducia ai giovani, investendo sul loro futuro. Non si è fermata davanti alla stagnante burocrazia e alla staticità dell’amministrazione, non ha esitato davanti a un così nobile ideale, non è stata assalita dalla “paura di fare una cosa giusta”. Il suo gesto vuole portare un messaggio di speranza ai ragazzi che studiano e che, purtroppo, non vengono premiati. E non solo. Nel suo generoso atto, si riesce ad intravedere un altro messaggio: un rimprovero ad un sistema che da troppi anni non premia più gli studenti preparati ma, al contrario, coloro che hanno nel loro arsenale armi che hanno poco a che fare con le qualità che in futuro dovrebbero aiutare il nostro Paese a migliorare. Armi che hanno annullato la meritocrazia e che hanno creato un presente così scarso di possibilità per i giovani. Armi come la prepotenza, le conoscenze, l’immagine.
La signora, sotto sotto, spera che atti come il suo non si ripetano mai più. Si augura che in futuro casi come questo non siano più oggetto di qualche articolo di cronaca leggera che tanto ha meravigliato la gente. Da lassù, la signora, immagina un’Italia dove la meritocrazia non sia opera pia dei più valorosi ma che, da meritocrazia “fai da te”, si trasformi in un valore incrollabile della nostra cultura.

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