Letteratura

Madeleine Bourdouxhe: i mille volti di una donna

Se c’è un’autrice che nella letteratura belga novecentesca dovrebbe occupare un posto di importanza capitale, quella è Madeleine Bourdouxhe (1906 -1996). Capace di leggere le emozioni più tempestose che abitano l’animo umano, i suoi romanzi sono ancora estremamente attuali.
I volumi che tracciano mirabilmente il profilo della sua opera sono due: La Donna di Gilles (1937) e Marie aspetta Marie (1943), recentemente pubblicati in Italia per Adelphi Edizioni grazie all’abile cura traduttoria di Graziella Cillario, che si è occupata anche, tra gli altri, di nomi del calibro di Marguerite Yourcenar e Georges Simenon.

Nata nel 1906 a Liegi, in Belgio, Madeleine Bourdouxhe incontra presto le le atmosfere francesi che abitano i suoi racconti; dopo una prima stesura di un romanzo rimasto inedito, vede la luce prima “La donna di Gilles” accolto nel 1937 con grande plauso e nel 1943 “Marie aspetta Marie”, ritirato dal mercato circa un anno dopo e ricomparso poi nel 1989. In questi anni prende forma anche una raccolta di racconti, Sept Nouvelles, che non verrà mai tradotta in italiano.

La Donna di Gilles: l’esordio

Pubblicato col titolo originale di La femme de Gilles per Gallimard , negli ambienti parigini il volume incontra subito il favore del pubblico. La prima opera della giovane scrittrice suscitò un immediato stupore, per la consapevolezza del testo, composto con grande equilibrio e organicità. L’opera arrivò a scuotere perfino Simone de Beavoir, con la quale Madeleine Bourdouxhe fu in rapporti d’amicizia per tutta la vita.
Il titolo del romanzo non ci mette subito di fronte alla sua protagonista, nascosta piuttosto in un complemento di specificazione. Quasi come se non avesse altre caratteristiche, la donna appartiene a Gilles ed è attorno a lui che la sua vita si cuce: una devozione che si macchia con possesso e abnegazione, temi con cui si districa tutta la matassa narrativa. L’annullamento del sé, una femminilità repressa e fatta di privazioni, sono solo alcuni dei leitmotiv che abitano la narrazione. Èlisa è una donna dedita ai figli, alla casa, ma più che a ogni altra cosa, come si può facilmente presupporre viste le premesse, a suo marito Gilles. Tutto è all’apparenza perfetto, nella casa della piccola cittadina belga in cui la storia si costruisce. Una perfezione che nasconde silenzi e attese, rinviando quasi alle modulazioni del dramma borghese ottocentesco.
In questo finto idillio Élisa vive la propria esistenza, come una bambola inerte in funzione del proprio marito:

Ogni giorno è così.
Quando mancano pochi minuti all’arrivo di Gilles, Èlisa è ridotta a un corpo privo di forze, tutto dolcezza e languore
– pura attesa.”

La presenza di Gilles mette la donna in condizione di dimenticarsi di sé: ogni suo gesto, addirittura il pianto, diviene silenzioso e sommesso, al fine di non disturbare la vaga e apparente quiete della sua dimora. Èlisa è una donna che ha dimenticato sé stessa, persa tra le braccia di una quotidianità che non le provoca alcuna vera felicità. Non c’è niente di puro nella sua vita, niente che si possa riconoscere come intrinsecamente reale: ogni cosa si rivela un faticoso artificio.
L’inesattezza di questa cornice apparentemente serena si mostra ancor più quando entra in scena un terzo personaggio, Victorine, la sorella di Èlisa. Una donna che, al contrario di quest’ultima, è fatta di una frivolezza infantile e giocosa, capace di ostentare tutta la femminilità che la sorella si è sempre negata, venendo meno allo sguardo altrui . Victorine, al contrario, non solo è calamita di quello sguardo ma ne ha fame; per questo non si accontenta, nemmeno quando a posarle gli occhi addosso è proprio Gilles.

Questa particolare triangolarità della vicenda ricorda inevitabilmente Simone de Beavoir, nel suo “L’invitata” (1943), opera in cui rievoca il tradimento da parte del marito, Jean Paul Sartre, con una donna, Xavière, presentatagli da lei stessa. Per quanto le atmosfere narrative siano diverse, Victorine e Xavière hanno in comune la capacità seduttiva, la freschezza della gioventù e il gusto nel ricevere lo sguardo. In La donna di Gilles, Victorine è l’elemento dinamico che s’insinua nella narrazione spezzandone l’equilibrio a poco a poco. Se inizialmente ci viene presentata come l’altra, il terzo elemento, il crescente desiderio di Gilles suoi confronti la pone al centro dell’intero impianto narrativo: la donna di Gilles, il fulcro pulsante del desiderio, è proprio Victorine.

Abituata a non far rumore, Èlisa è testimone silente e compassionevole: accoglie gli sconforti del marito, si rende sua complice nella vicenda che le sta dilaniando l’esistenza e ogni parvenza di suo desiderio viene spazzata via dalla devozione.
Tornando proprio alle drammaturgie teatrali, Madeleine Bourdouxhe le rievoca candidamente. I personaggi di cui si anima la vicenda sono pochi, tanto diversi quanto ben delineati nella loro identità. Come nel dramma borghese, c’è sempre un elemento che interrompe il regolare flusso delle vicende; così è per Èlisa, Gilles e Victorine che si perdono in loro stessi fino a un punto di rottura totale.

Madeleine Bourdouxhe

Marie aspetta Marie: l’evoluzione

La vicenda di À la recherche de Marie è alquanto singolare: pubblicato per la prima volta nel 1943 da Éditions Libris, viene ritirato dal mercato circa un anno dopo, probabilmente a causa del controllo nazista dell’epoca su editoria e stampa; ricomparirà nuovamente nel 1989 col titolo Wagram 17-42: Marie attend Marie, a Parigi.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un titolo rivelatore: con Marie aspetta Marie, siamo già di fronte a un grande cambiamento. La protagonista sta aspettando se stessa, è in cerca della propria identità: si trova in posizione dinamica che la mette in atto rispetto all’Èlisa di Gilles.
Ancora una volta ci troviamo di fronte a una donna innamorata del proprio marito, Jean, e legata romanticamente a lui. Marie è simbolo però di una metamorfosi, un cambiamento che è insito in lei e che trova modo di realizzarsi e dispiegarsi in diversi ambiti della sua vita.
Quello che apparentemente è il racconto di una donna legata ai suoi affetti famigliari, al marito e con una relazione extraconiugale (tornando ai triangoli d’amore così efficacemente descritti dalla nostra autrice), in realtà si rivela una storia di volontà ed emancipazione, forza e tenacia. Marie è una persona fatta di dedizione: ai propri studenti, al marito che necessita di continui spostamenti a causa del lavoro, alla sorella Claude, alla sua città (Parigi) e ai genitori. Ma ciò che ci è chiaro fin da subito è che Marie è una donna dedita anche e soprattutto alla propria persona e che, contrariamente a ciò che ci saremmo aspettati da Èlisa, non si sottrae ma si concede. Quando incontra il suo amante per la prima volta in Costa Azzurra (calando il lettore in un immaginario tra l’onirico e il bucolico, alterazione finemente gestita dall’autrice) asseconda il proprio desiderio e la propria curiosità. Un gesto che non è volto a soddisfare un senso di trasgressione e possesso come tra Gilles e Victorine, dove chiaramente l’uno era il sedotto e l’altro il seduttore, bensì si traduce in volontà della protagonista, al fine di conoscersi più a fondo.
Perciò la donna non manca mai di attenzioni al proprio marito, nonostante tutto, il quale pare non rendersi nemmeno conto della relazione adulterina della moglie. Marie tira le fila della propria esistenza, non lasciandosi mai davvero trascinare da nulla (anche quando le circostanze paiono insinuare il contrario). Jean è l’uomo con cui condivide la quotidianità della vita, ricordi e affetto sincero; il suo amante, al contrario, è il mezzo tramite cui l’emancipazione della donna prende radicalmente forma. Non è strano, quindi, che non ne conosceremo mai il nome. Egli assume sembianze tramite ciò che leggiamo: lui è l’amante di Marie, potremmo dire in senso oppositivo, richiamando il titolo della prima opera di Madeleine Bourdouxhe.
Si può pensare nuovamente, in tal senso, a un paragone con Simone de Beauvoir, poiché Marie porta con sé alcune delle caratteristiche che ritroviamo in Laurence, la protagonista di Le belle immagini (Les belles Images, 1966): una donna che, nonostante il suo amore per il marito, inizia una relazione extraconiugale in cui approfondire ed esperisce la conoscenza del sé. Con la Bourdouxhe, negli anni Quaranta, si dà l’avvio a quella letteratura di stampo femminista che mette a soggetto la donna e le dinamiche che la circondano.

“Si volterebbe dall’altra parte, ascolterebbe di nuovo il pulsare tumultuoso del suo sangue.
Marie non ama niente, non aspetta niente?
Marie ha il cuore gonfio di amore.
E Marie aspetta Marie.”

Madeleine Bourdouxhe

Tirare le somme

Nelle narrazioni di Madeleine Bourdouxhe niente può essere trascurato. Le donne che sceglie come protagoniste delle sue storie sono due donne che, per quanto differenti, sembrano essere parte di una parabola ascendente di maturazione. Il sacrificio in concessione, l’abnegazione in libertà, il silenzio in voce: alcuni degli elementi che rappresentano un crescendo nell’affermazione del sé da un’opera all’altra. Un istinto, questo, particolarmente sentito nella Francia di quegli anni e che la Bourdouxhe inevitabilmente respira grazie ai suoi legami francesi. C’è da domandarsi, quindi, se questo crescendo non sia sintomatologicamente proprio innanzitutto dell’autrice, riflesso poi nei suoi scritti. Sicuramente la sua formazione politica subisce un crescendo negli anni della guerra civile spagnola e con le amicizie che stringe (una fra tutte quella con Victor Serge, rivoluzionario russo).
Ma la vita della Bourdouxhe è stata costellata anche di incontri nei celebri Caffè letterari parigini, negli scambi con Simone de Beauvoir, Raymond Queneau, Jean-Paul Sartre: con tutti quegli autori che, in quel periodo storico, stavano contribuendo a formare una nuova coscienza umana e letteraria. Non è strano quindi che le sue storie si tingano di un’intensità rara, capace di essere ancora attuale anche ottant’anni dopo la stesura.

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