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Le periferie umane raccontate da Ascanio Celestini

Con Pueblo Ascanio Celestini torna a raccontare l’umanità delle periferie – già ritratta in Laika (2015) – nel tentativo di rappresentare le debolezze della società contemporanea superando stereotipi e immagini abusate. In un racconto ricco e intenso, a tratti commovente – senza mai scadere nel patetismo – a tratti irresistibilmente comico, si intrecciano la storia di una barbona,  di una cassiera di supermercato, di uno zingaro e di un magazziniere africano. In attesa del terzo atto di questa umanissima trilogia, abbiamo incontrato Ascanio Celestini che, in un malfamato bar della periferia genovese, ci ha raccontato perché ha scelto di mettere in scena l’autenticità di questi personaggi che vivono ai margini.

Questo spettacolo rappresenta l’umanità delle periferie, degli esclusi, di chi non vuole farsi vedere. Come mai hai sentito questo racconto come urgente?
Ho scelto di raccontare queste storie perché sono storie che conosco, mi sento di appartenere a quella periferia là: il mercato coperto del “miracolo finale” è quello dove andavo anche io da ragazzino. Si parla di periferie dicendo che bisogna portate lì la cultura, poi però nessuno chiede a chi ci abita di che cosa sente davvero la mancanza: un abitante della mia borgata -più che un teatro sfigato sotto casa- vorrebbe magari avere la metropolitana che lo porta in centro (per andare a teatro). Dovremmo incominciare a pensare un territorio in relazione alle persone che ci vivono. Talvolta gli abitanti di questi “ghetti” non vogliono che si parli di loro: sei talmente stufo della narrazione che qualcun altro fa del tuo mondo che alla fine pensi che è meglio non farne parte perché rischi di finire nel calderone della narrazione globale e in quella maniera finisci per legittimarlo.

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Quale utilità può avere concretamente, per le persone che vivono in  questi quartieri, un’opera come questa? È finalizzato a far capire a chi va a teatro (e quindi se lo può permettere) la vera umanità di quei luoghi? O serve a far venire dei sensi di colpa che però poi rischiano di morire una volta terminato lo spettacolo?
Mi ha fatto riflettere la storia di Sisto Quarata, uno dei deportarti del rastrellamento del quartiere romano del Quadraro dell’aprile del 1944. Quando l’ho intervistato gli ho chiesto perché non avesse mai raccontato la sua storia, essendo io convinto che non l’avesse voluta condividere per non rivivere il dramma. Mi ha risposto che non l’aveva mai tenuta nascosta, ma facendo l’elettricista, l’aveva sempre raccontata solo in famiglia. Questa è una possibilità per gli artisti: raccontare storie che altri non hanno mai condiviso pubblicamente prima e in cui si trova una ricchezza umana inaspettata.

Non hai paura che la rappresentazione che proponi di questa realtà possa essere una raffigurazione parziale?
Questo a teatro inevitabilmente succede perché il barbone e la prostituta non vanno a vedere lo spettacolo, però ci sono situazioni in cui porti il teatro fuori dal teatro e realmente ti trovi un’umanità diversa davanti.

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Tu hai sperimentato molte forme artistiche diverse: hai realizzato spettacoli, libri, film e persino un album musicale. Secondo te quando un artista sente l’urgenza di raccontare una storia qual è la forma espressiva migliore per trasmettere un contenuto? Perché scegli  di realizzare uno spettacolo piuttosto che un’altra opera?
Di fatto non scelgo: ho delle opportunità e se ritengo che un progetto sia interessante ne approfitto, come mi è capitato nel caso di “Pecora Nera”. Per me è stata una vera scuola poter scrivere le sceneggiatura e poi fare la regia in questo caso perché mi è stata data la possibilità di portare un linguaggio che utilizzo in un mezzo espressivo che è differente. Non amo gli artisti che dicono “L’ho fatto perché per me era un sfida” insomma se lo fai è perché lo trovi interessante!

Spesso ci sentiamo dire che la cultura è un bene secondario e che le preoccupazioni vere sono altre. Come si reagisce a queste affermazioni?
Sono convinto che ci si debba dedicare a ciò che riteniamo migliore per noi stessi, così si rischia anche meno di diventare depressi! Se fai quello che ami nella vita, hai più possibilità di farlo meglio. Non si può vivere senza la cultura e questo vale anche per chi non frequenta assiduamente la letteratura o il teatro.

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