CulturaLetteratura

L’arte dello scrivere – I dialoghi [3a puntata]

di Andrea Gobbato

Nello scorso appuntamento di questa rubrica legata alla scrittura creativa abbiamo trattato i personaggi, cosa fare e cosa non fare per renderli credibili agli occhi del lettore. Oggi invece tocca a quello che i vostri personaggi diranno, a come interagiranno tra loro: è la volta dei dialoghi.

Partiamo subito con una premessa: i dialoghi non sono necessari. Esistono racconti dove i personaggi non proferiscono neanche una parola, lasciando spazio allo svolgimento della trama e alla narrazione. Si tratta però di un’operazione rischiosa, che solo chi ha un po’ di esperienza dovrebbe affrontare. Provate ad immaginare un film dove gli attori restano muti tutto il tempo, eccetto per una voce narrante fuori campo: non è proprio il massimo del divertimento. E presumo che annoiare il lettore non sia il vostro obiettivo, altrimenti non sareste qua a leggere questo articolo.

A differenza di trama e personaggi, i dialoghi non possiedono regole. Potete inserirne quanti ne volete, o non inserirne affatto (a vostro rischio e pericolo); l’unica eccezione a queste “non-regole” è data dal fatto che essi devono sembrare veri e non costruiti a tavolini, in modo da dare l’illusione che quello che state raccontando sia realmente accaduto. E, ancora una volta, quale miglior posto per trovare materiale del mondo che ci circonda? La prossima volta che salite su un autobus o prendete la metropolitana, provate ad origliare (ovviamente senza farvi scorgere) le conversazioni degli altri passeggeri. Questo potrà aiutarvi in futuro, quando vi ritroverete a dover dar voce ai personaggi del vostro racconto.

I dialoghi, oltre a permettere interazione, permettono anche di spezzare la narrazione, lasciando un po’ di respiro al lettore. Le cose infatti possono essere raccontate anche attraverso le parole dei personaggi, in modo da non appesantire in eccessivamente le descrizioni e da rendere più fluide le scene.

Proviamo a fare un esempio: il personaggio che intendete descrivere è un insegnante severo ed anche un po’ carogna. Ecco i due modi che avete per introdurlo al lettore:

1) Il professor Luppi entrò in aula e raggiunse la cattedra con passo svelto, guardandosi attorno con occhi austeri, quasi volesse soffocare le voci che si levavano ancora dal fondo dell’aula. Un incauto studente si lasciò sfuggire una risata a volume troppo elevato e subito Luppi lo fulminò con lo sguardo, facendogli cenno di alzarsi. Gli chiese come si chiamasse e, quando questi ebbe risposto, si segnò malignamente il nome dell’alunno in un angolo della sua agendina, promettendogli che si sarebbe ricordato di lui il giorno dell’esame.

2) Il professor Luppi entrò in aula e raggiunse la cattedra con passo svelto. «Silenzio! Non voglio sentire volare una mosca durante la lezione!» intimò con tono glaciale.

Dal fondo dell’aula uno studente si lasciò scappare una risata a volume troppo elevato.

«Lei! Si alzi in piedi, subito!» lo fulminò Luppi «Come si chiama?».

«Berti, professore».

«Berti, eh?» rispose Luppi, segnandosi il nome in un angolo della sua agendina «Mi ricorderò di lei il giorno dell’esame, caro il nostro Berti».

Avete visto? Entrambe le forme sono corrette, ma la seconda è molto più fluida ed incisiva perché la sequenza narrativa è spezzata dalle sequenze dialogate. Inoltre i dialoghi sono un modo molto più diretto per far venire fuori le caratteristiche di un personaggio invece di addentrarsi in lunghe e complesse descrizioni.

Nella seconda parte avrete notato che ho utilizzato le frasi “lo fulminò Luppi” e “rispose Luppi, segnandosi il nome in un angolo della sua agendina”; queste si chiamano frasi di attribuzione, frasi che gli scrittori utilizzano per far capire chi è che sta parlando. Se sono molto brevi, ad esempio composte da una o due parole (“disse, gridò, domandò, rispose” ecc. seguiti dalla persona che compie l’azione), vanno collocate alla fine di una sequenza dialogata, mentre se più lunghe (come quelle utilizzate da me, dove sono presenti azioni che avvengono in contemporanea a ciò che il personaggio dice, i cosiddetti movimenti di scena) possono essere inserite nel mezzo, spezzando il dialogo. Ricordate che le frasi di attribuzione non sempre sono necessarie, anzi spesso si trasformano in ripetizioni: se i personaggi che partecipano ad un discorso sono due, ad esempio Marco e Luca, non bisogna continuamente ripetere chi parla:

«Che hai fatto ieri sera?» chiese Marco

«Sono uscito con Elisa» rispose Luca.

Quel “rispose Luca” è inutile, andrebbe cancellato: il lettore sa già che a parlare sono Marco e Luca, perché ricordarglielo ulteriormente?

Infine, un’ultima raccomandazione: come ogni persona ha un proprio modo di essere, ha anche un proprio modo di parlare. I dialoghi dei vostri personaggi devono rispettare la sua personalità, a tutti i costi, altrimenti il realismo che cercate di dare alla storia si dissolverà come una bolla di sapone; per intenderci, un rozzo sergente istruttore dei Marines non parlerà mai come un baronetto inglese di fine Settecento.

Non abbiate paura di utilizzare un linguaggio colloquiale o scurrile; gergo e parolacce sono ormai entrate a far parte del parlato comune, pertanto devono far parte anche del mondo dei vostri personaggi. Non temete di risultare offensivi: voi siete scrittori e il vostro compito è quello di raccontare le storie del mondo a chi ha il piacere di leggervi. E se il mondo parla come un scaricatore di porto, beh, la colpa non è di certo vostra.

Anche la terza parte di “L’arte dello scrivere” è terminata e mi auguro che sia stata di vostro gradimento come le precedenti. Appuntamento come sempre alla settimana prossima per discutere insieme delle ambientazioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *