Attualità

Ilva, Alcoa, Carbosulcis: chiusure e spiragli di politica industriale

di Tommaso Pepe

 

Il 3 ottobre è divenuto legge il decreto del governo fortemente voluto dal Ministro dell’Ambiente Clini con cui sono stati sbloccati i fondi (336 milioni di euro) per l’avvio della bonifica dell’Ilva di Taranto. Uno dei problemi più scottanti dell’autunno industriale del paese pare così avviarsi a una prima, parziale soluzione. L’acciaieria nel frattempo ha appena annunciato l’esubero di 962 operai, ricollocabili però in altre sezioni dell’impianto. Gli sforzi da compiere dunque rimangono ancora molti.

Per cominciare il 16 ottobre dovrà essere approvata la nuova A.I.A., l’Autorizzazione Integrata Ambientale che indicherà in maniera dettagliata quali sono i vincoli ambientali imposti all’azienda. L’Ilva sarà chiamata a un robusto programma di riconversione e ammodernamento, ed è proprio questo programma a motivare lo stanziamento di fondi.

Il provvedimento si sviluppa su almeno tre punti chiave. Il primo, a cui vengono destinati 119 milioni di euro, prevede la bonifica dell’impianto. Le parti più inquinanti dell’Ilva verranno smontate e poi riassemblate inserendovi sistemi e macchinari meno inquinanti. Si interverrà soprattutto su due dei cinque altiforni dello stabilimento e sul parco minerario (lo spazio aperto in cui vengono depositati il coke e i minerali ferrosi responsabili delle polveri inquinanti). Il direttore dell’impianto, Adolfo Buffo, ha annunciato di aver già dato disposizioni per lo spegnimento del più vecchio degli altiforni indicando anche una prima timeline: la riconversione dovrà concludersi nel 2015, fra tre anni.

Il secondo punto del piano si concentra sulle infrastrutture: la bonifica dell’Ilva si colloca nel quadro di una risistemazione dell’intera area industriale di Taranto, classificata come area in situazione di crisi complessa e per la quale sono stati stanziati 187 milioni di euro.

La terza parte è quella infine più innovativa: 30 milioni sono disponibili per la «realizzazione di investimenti produttivi caratterizzati da un elevato livello tecnologico e di sostenibilità ambientale» da parte di imprese della zona, nella cornice dell’accordo quadro di riqualificazione.

Il piano presentato dal governo ha così introdotto un elemento virtuoso. Il rimodernamento dell’Ilva dovrà svolgersi prendendo a modello una serie di misure (in gergo BAT, Best Advanced Technologies) che la Commissione Europea ha varato lo scorso febbraio: misure che diverranno obbligatorie per tutti gli operatori del settore siderurgico a partire dal 2016, proponendo una sinergia fra riconversione industriale, sviluppo sostenibile e armonizzazione con le direttive comunitarie. La sfida consisterà nel trasformare questa sinergia in azioni concrete.

Se la questione dell’Ilva sembra essersi incanalata positivamente, altri contesti appaiono invece bloccati. È il caso di altre due delicatissime crisi aziendali, quelle dell’Alcoa di Portovesme (il più grande impianto italiano di produzione di alluminio) e del bacino carbonifero del Sulcis-Iglesiente: crisi che vanno a colpire la zona sud-occidentale della Sardegna con il rischio depauperare un territorio già caratterizzato da una sofferenza economica endemica.

Colpisce però il fatto che nell’affrontare queste due crisi il governo stia cercando di applicare un modus operandi simile a quello elaborato nel caso dell’Ilva: riqualificazione complessiva di aree mirate, sostegno ad un ammodernamento sostenibile, armonizzazione degli interventi alle normative europee. I nodi tecnici in questione riguardano l’erogazione di energia elettrica a basso costo (l’impianto dell’Alcoa ha altissimi consumi di elettricità) e la realizzazione di un polo energetico che sfrutti la tecnologia del carbone pulito.

Assistiamo a timidi rilanci di una politica industriale, da cui trarre alcune indicazioni operative. Alla cultura della deregolamentazione e delle riforme legislative a impatto zero, che pure il governo ha tentato in precedenza, la linea oggi seguita vuole affiancare un rapporto virtuoso fra regole (specie ambientali), intervento mirato dello stato e capacità di rinnovamento del tessuto industriale. Dall’altro lato si cerca di proiettare questa sinergia entro una prospettiva comunitaria, facendo dell’Europa e delle sue istituzioni delle cornici che sostengano l’economia regionale in momenti di difficoltà e ne promuovano il rilancio. L’auspicio è quello di riunire simili iniziative frammentarie in un programma omogeneo, di rilevanza nazionale.

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