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“Il secondo figlio di Dio” è un miracolo teatrale di Cristicchi

Quando Simone Cristicchi approda al teatro, la storia tira un sospiro di sollievo. La storia con la “s” minuscola ovvero quella dei dimenticati, degli sconfitti e degli emarginati. La storia, quella anche delle personalità troppo scomode o troppo rivoluzionarie perché gli si potesse dedicare anche solo una nota in calce nei manuali scolastici. In tour con il suo ultimo spettacolo “Il secondo figlio di dio”, Simone Cristicchi è andato in scena a Lodi al Teatro delle Vigne per fare quello che sa fare meglio, il cantastorie. Il suo è uno spettacolo potente e provocatorio già nelle scelte artistiche, e rischioso per la complessità delle tematiche e della tecnica, eppure grazie al talento poliedrico dell’artista romano la storia di David Lazzaretti giunge al pubblico nella sua pienezza biografica e storiografica con giusto qualche apprezzatissimo accenno comico che non stona mai con la tragicità delle vicende ma anzi ne esalta gli aspetti più assurdi, contornando il tutto con un velo delicatissimo di poesia.

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La storia di David Lazzaretti comincia con la sua nascita nel 1834 e la formazione al paese natio, Arcidosso nella maremma dove a differenza degli altri contadini David sapeva fare qualcosa di straordinario e miracoloso: leggere. Grazie alla lettura David si nutre voracemente di storie di ogni tipo, dall’epica alla filosofia, dalla poesia alla politica. Ma insieme ai piaceri della lettura la vita del Lazzaretti è attraversata da periodi bui caratterizzati da febbri altissime, visioni allucinanti e ritiri in meditazione. Eppure Cristicchi è abilissimo ad accompagnare lo spettatore anche nelle fasi più concitate della vita del Lazzaretti aggiungendo qua e là dei sollievi comici gustosissimi. Dilaniato da queste visioni e inascoltato dal pontefice di allora Pio IX, Lazzaretti fonda nella seconda fase della sua vita un vero e proprio culto basato sulla giustizia sociale, la ripartizione del lavoro e, per la prima volta in Italia, il suffragio esteso anche alle donne. Ma se all’inizio Lazzaretti incontra anche dei timidi appoggi da parte della Chiesa stessa, la quale sperava in questo modo di contrastare l’anticlericalismo susseguente alla presa di Porta Pia, ben presto si vedrà tradito e diffamato per via delle sue posizioni eretiche riguardo la natura divina e, cosa ancor più grave verrà tacciato di socialismo e peggio ancora di comunismo. Nello spettacolo di Cristicchi la vita del “Cristo dell’Amiata”, come verrà soprannominato dopo la sua morte, è un continuo alternarsi di musica e narrazione, di storia e recitazione. Il risultato non è soltanto uno spettacolo sulla vita ma una vita che si fa spettacolo.

David-Lazzaretti

Difficile parlare dell’interpretazione di Cristicchi senza pensare almeno un po’ ai suoi trascorsi negli istituti di igiene mentale. Guardandolo viene alla mente Vittorio Gassman quando diceva che “un attore perfettamente sano è un paradosso”. Cristicchi non interpreta personaggi ma lascia che siano essi a uscire dal suo corpo e a dominare la scena in maniera armonicamente folle e dalle sonorità colorate di un talento vocale immenso che in appena un’ora e quaranta riesce senza errori a sintonizzarsi ora sul canto, ora sul falsetto, passando per una narrazione intensa e una recitazione semplicemente impeccabile. La scena è l’altro vero grande elemento dello spettacolo, una scena che segue il percorso mentale degli autori per adattarsi ad ogni fase della vita del Lazzaretti. Ecco allora che un carro del barrocciaio diventa un trono papale e poi ancora un carro, poi una chiesa, poi una collina quindi un rudere. Come di fronte a uno spettacolo di acrobati si rimane impressionati di fronte alle fatiche da palcoscenico e agli effetti speciali artigianali e proprio per questo ancora più speciali che il teatro di Cristicchi sa regalare.

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Con “Il secondo figlio di Dio” Cristicchi si conferma, nel caso ce ne fosse bisogno, un talento teatrale immenso dove l’arte è messa al servizio degli ultimi e la storia si fa arte a sua volta. Per concludere bisogna per forza prendere in prestito un estratto dal suo monologo iniziale che più di ogni altro giudizio, sintetizza al meglio lo scopo dell’opera e il cuore della poetica cristicchiana: “Questa è una storia che se la raccontano nun ce credi, e se non te la raccontano non la sai”.

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