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I racconti di Hoffmann fra gotico e pop

Lo Spazio DiLà offre spettacoli la cui cifra stilistica si gioca su sperimentazione drammaturgica e inventiva registica: è il caso di I racconti di Hoffmann, riadattamento dell’omonima opera di Offenbach, che ha riempito la programmazione del teatro milanese per tre settimane consecutive, andando a chiudere il 3 dicembre non senza aver registrato serate di sold out. La versione originale di Offenbach è un’opera in cinque atti, incentrata sulla vita dello scrittore romantico Hoffmann. Il secondo, il terzo e il quarto atto sono ispirati a tre racconti scritti dallo stesso Hoffman: l’uomo della sabbia, il consigliere Krespel e le avventure della notte di S. Silvestro. Delia Rimoldi, nel suo riadattamento, ha mantenuto la struttura e i personaggi di Offenbach, integrando alcune scene con prestiti testuali tratti dalla produzione originale dello scrittore tedesco: la scena del consigliere Krespel è stata costruita a partire dai racconti, mentre le avventure di S. Silvestro è il risultato di una combinazione tra le due fonti.

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La figura femminile e lo scontro con la dimensione demoniaca emergono come temi trainanti all’interno di una vorticosa successione di situazioni. Lo sguardo di Hoffmann sulla donna è idealizzante e distaccato dalla dimensione terrena, reale. Il mondo femminile si pone su due piani: Stella, doIMG_4290nna che Hoffmann (Jacopo Veronese) pazientemente aspetta nel locale di Luther e Olympia, Antonia e Giulia, le tre donne dei racconti. Le quattro figure femminili sono impersonate da un’unica attrice (Emanula Caruso): una scelta simbolica che lascia intuire quale legame le accomuna, nella realtà e nella finzione: non essere viste, ma riflesse in una bolla di perfezione, una proiezione cieca che finisce per sgretolarsi nel finale segnato dal disincanto.

Il maligno, che in Offenbach e in Hoffman è incarnato in più personaggi, nella versione milanese risponde ad un unico nome, quello di Coppelius (Claudio Gaj). La riduzione ad uno vuole sottolineare la visione manichea che sorregge la visione di Hoffmann, in cui il male è chiaramente identificabile e si contrappone ad un bene puro che di questa versione è l’assente illustre. Luther (Delia Rimoldi) non aderisce a questo compito di guida benevola, ma registra e commenta i deliri dello scrittore senza intervenire.

Lo stile gotico è stemperato da atmosfere pop-favolistiche marcatamente Anni ’80. Lo sfondo di cupezza si ravviva nel contrasto di luci al neon, che compongono l’insegna centrale del locale: parte stabile della scenografia insieme ad un bancone con alcolici disposto lateralmente. La regia ha insistito sull’effetto cromatico per restituire la suggestione fiabesca della narrazione di Hoffmann: luci fosforescenti colorano gli attori mentre danzano con ombrelli in un valzer travolgente. La scelta delle musiche si allinea alla volontà di creare un ponte fra questi due archi temporali: Belle nuit, ô nuit d’amour, brano lirico tratto dall’opera di Offenbach e Paradise, noto singolo di un film cult per gli Anni ’80, Laguna Blu. Una brillante reinterpretazione in chiave postmoderna che attendiamo di rivedere al più presto.IMG_4291

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