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Il mondo in una fotografia: intervista a Graziano Perotti

Ho incontrato Graziano Perotti un mercoledì mattina, in un bar di Pavia. Ho avuto il piacere di conoscerlo prima della sua imminente partenza per il Vietnam, mi ha dedicato un po’ del suo tempo e ho scoperto che, oltre ad essere un bravissimo fotoreporter, è una persona saggia e con tante esperienze da raccontare. Con oltre 200 reportage di viaggio, cultura e società realizzati in collaborazione con magazine nazionali e internazionali, e i numerosi premi vinti, nel 2015 è stato uno dei 40 fotografi italiani selezionati per rappresentare il Paese nel Festival Internazionale della Fotografia di Lishui (Cina). Se almeno un po’ vi ho incuriositi vi consiglio di leggere l’intervista. Buona lettura!

Buongiorno Graziano, grazie per essere qui con noi oggi. La prima domanda che le volevo fare non ruota attorno al come, ma al quando e al dove. Quando si è avvicinato al mondo della fotografia? Dove ha iniziato a muovere i primi passi?

Mi sono avvicinato al mondo della fotografia grazie a una gita scolastica che feci da piccolo qui vicino a Pavia. Purtroppo non disponevo di nessuna macchina fotografica al tempo, quindi mi accontentai di guardare le foto degli altri. Mentre le stavo guardando non potei fare a meno di pensare “ma che cosa hanno fotografato? Sicuramente non la nostra gita” ed è stato lì che ho avuto una specie di illuminazione: chissà come io avrei potuto raccontare la gita, se solo avessi avuto una macchina fotografica…

E la prima macchina fotografica quando è arrivata?

E’ arrivata parecchi anni dopo. Riuscii a comprarmela grazie ai lavori che avevo iniziato a fare, pensa che per un periodo ho anche lavorato di notte per le Poste Italiane e di giorno andavo a Milano a scattare e a mostrare in giro le mie fotografie, per farmi conoscere meglio dalle redazioni o anche da alcuni critici fotografici.

Quindi non è sempre stato un fotografo…

No, assolutamente. Ho fatto diversi lavori e dopo anni di sofferenza ho capito che nessuno di essi mi apparteneva realmente. Così mi licenziai e iniziai a farmi strada nel mondo fotografico. Ovviamente sono stati anni duri e pesanti, ma devo dire che, alla fine, tutti i sacrifici ne sono valsi la pena.

E se non fosse diventato fotografo, che lavoro avrebbe fatto?

Bellissima domanda, mi sarebbe piaciuto diventare un archeologo, o un batterista.

Cambiando discorso, da brava intervistatrice mi sono documentata e ho cercato online alcuni dei suoi scatti. Ne ho trovato uno che mi profondamente commosso: si tratta della foto a una signora anziana che giace sdraiata sul letto davanti a una finestra totalmente spalancata. E’ una foto molto d’impatto. Può raccontarci la storia, o le storie, che si celano dietro questo scatto?

Molto volentieri, la foto di cui stai parlando fa parte di uno dei miei ultimi lavori. Si è svolto qui a Pavia e mi è stato commissionato dall’Associazione Pavese per la Cura del Dolore Lino Sartori, in occasione del loro 25° anniversario. Loro sono degli angeli pavesi, vanno nelle case dei malati terminali e li aiutano ad affrontare i periodi più bui. Questo progetto si chiama “Dammi la mano” e posso dire con certezza che è uno dei lavori di cui vado più fiero in assoluto. Sai, dietro a una grande fotografia c’è sempre una cosa che viene prima: la fiducia della persona, che va conquistata piano piano e che ovviamente va di pari passo con il rispetto. Ho ancora sulla pelle gli abbracci delle persone che ho conosciuto, hanno dato più loro a me che io a loro.

Ha conosciuto molte persone nella sua vita, ha qualcuno in particolare da raccontarci?

Recentemente ho incontrato la Regina Rania di Giordania, una delle donne più eccezionali che abbia mai conosciuto. Invece tornando indietro nel tempo a Cuba ho conosciuto Raul Corrales, uno dei fotografi  di Fidel Castro e Che Guevara mentre nella foresta amazzonica, nel Sud dell’Equador ho incontrato un signore che ha proprio combattuto con Che Guevara. Un altro personaggio importante che ho avuto il piacere di conoscere è Gregorio Fuentes, il capitano della barca di Hemingway da cui lo scrittore ha preso spunto per scrivere “Il Vecchio e il Mare“. Mi ha fatto leggere delle lettere che Hemingway gli ha scritto negli anni e mi sono commosso, devo ammettere che qualche lacrima è scesa.

Per concludere: che consigli si sente di dare a un giovane che vorrebbe intraprende il suo stesso percorso lavorativo?

Il consiglio che gli do è semplicemente leggere tantissimi libri, guardare tantissimi film e interessarsi di Arte. Una volta costruita questa solida base culturale, metterla tutta in fotografia. Ai giovani voglio dire un’ultima cosa: avete tutto, anche quello di cui non avete bisogno. Proprio per questo non siete abituati alle sconfitte e ai no ma ricordatevi che se avete un sogno dovete fare di tutto, dovete crederci e alimentarlo. Le cadute non devono essere un buon motivo per mollare, ma per ripartire più forti di prima. Vedrete che, se avete dentro qualcosa da raccontare, prima o poi ce la farete.

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