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“Santa Clarita Diet” e “3 %”: poi parleremo di “Westworld”

Anzi. Facciamolo prima: dove abbiano scovato le perle di non-saggezza per l’ultima puntata di Westworld non si saprà mai. Un coacervo di filosofia spicciola e colpi di scena a lungo annunciati rendono l’ora e mezza della 2×10 un parto naturale. Eccoci Bernard (Jeffrey Wright) – a conoscenza di addirittura due o tre espressioni in meno di Ryan Gosling – che nel suo lungamente travagliare si concede anche a pause riflessive monologanti (o dialoganti?) che niente, davvero niente, hanno da spartire con la pur semplicistica ma fresca filosofia della prima stagione. Perché il sistema solidissimo, più o meno, della season one, preso a piene mani da J. Janes (La mente bicamerale e l’origine della coscienza), è ora invece disarticolato in frasi quali L’uomo è libero veramente?, oh quanto è ingenuo l’uomo, crede di essere così complesso e bla bla. Per non parlare della supercattivissima bionda. Ad ogni modo, è a me impossibile parlare bene di Westworld 2 in questo momento, investito da una delusione premeditata… eppure le 2×4, x6 e x7 avrebbero avuto tanto da dire! Ma niente più, nell’attesa che mi si raffreddi il core vorrei parlarvi di due serie televisive, 3 % e Santa Clarita Diet.

3Entrambi originali Netflix più che low budget, low low. Della prima serie, portoghese, unicamente fruibile sottotitolata, ho scritto un anno fa circa: 3 % ha tutti i difetti del mondo, tutti. Eppure funziona, cioè raccoglie, attrae, forse per la diversità, per la freschezza di una lingua diversa dalla solita, dai tratti somatici diversi, dall’ambientazione assolutamente a noi estranea. La società è del tipo distopico, tutt’altro che una novità, epperò eccoci che il ritmo si fa frenetico, i personaggi hanno storie lunghissime di contraddizioni, sono contraddittori, a partire dal capo dei capi e dalla cattivissima pt. 2. Senza dubbio è, sia chiaro, una serie con due obiettivi: la narrazione e la narrazione. Nel senso che dubito aspiri a uno statuto artistico particolare, non ha registicamente né fotograficamente scelte direi eccentriche, né mai fuori dalla norma. Come si suol dire, è girato bene, ha tutto dietro un impianto tecnico sufficiente alla narrazione, e gli attori sono in fondo tutti più che bravi. C’è sicuramente da ovviare al problema degli effetti speciali, ma forse la rozzezza del tutto è ciò che attrae. Se non l’avete vista, forse la consiglio, forse no, godibile ma non godibilissima la serie di Pedro Aguilera si rinnova bene nella seconda stagione recentemente uscita su Netflix. Fa intravedere l’off-shore e introduce almeno due personaggi tutt’altro che piatti, almeno concavi. Anche se, se volessimo trovare qualche pecca anche narrativa (che sarebbe per la serie un disastro), ecco che la serie di puntate finali accolgono qualche buco di sceneggiatura, sempre da relegare al ma perché non sparano mai in testa se sono soldati speciali supervaccinati con armamento ipermilitare (ecco anche la ricordanza di Westworld: suvvia, come è possibile che la biondona riesca a uccidere sempre eserciti di soldati speciali con mitragliatori futuristici utilizzando solo ed esclusivamente una cazzo di pistoletta da Far West?)?. Oppure al ma non lo vedi che ti sta raggirando? Non vedi che vuole distruggere tutto? NON VEDI? Eh niente, rimanga così: serie piacevole, promossa con dieci in condotta e media del sei.

Per Santa Clarita Diet, di Victor Fresco, un discorso a parte. La prima puntata è addirittura del 2017 e siamo ad oggi alla seconda stagione, riconfermata una terza. Drew Barrymore interpreta Sheila, che lavora assieme al marito Joel (Timothy Olyphant) come agenti immobiliari. Durante una visita ad una casa lei vomita ovunque imbrattando ogni centimetro del bagno. E muore. Poi si risveglia e mangia solo carne fresca. Poi carne umana. Perciò il non-morto di Victor Fresco ha le sembianze di una madre di famiglia americana, intraprendente ma non troppo, capace ma non troppo eccetera. Le premesse sono buonissime. E la serie, pur su un intreccio direi a dir poco elementare, si dimostra assolutamente capace di divincolarsi nel genere, rinnovando la zombie serie con il capovolgimento di qualche cliché e soprattutto con una violenza spropositata: è giusto uccidere un nazista? Sì, certo. E un nazista sulle sedia a rotelle? Certo, l’impianto è della comedy, quindi la brutalità è sempre condita non da sangue ma da salsa barbecue ed è pure eccedente per fare paura. Infatti il punto di forza è nel dialogo, parlano forse troppo, con ironia a dir poco fresca, nuova, sicuramente per l’apporto non da poco della figlia Abby (Liv Hewson), e dell’amico vicino di casa friendzonabile Eric (Skyler Gisondo) [ma non è nome da donna?]. Bene. Anche qui però nessuna pretesa, penso, di rilievo nel campo della settima o ottava arte. Tutto nella norma, con voto positivissimo alla sceneggiatura e in particolare al dialogato. Consigliata, soprattutto in sessione esami visto che gli episodi durano meno di mezz’ora. 1522046747_santa-clarita-diet-hammond-family

Vi ho parlato di due serie gradevoli, comode direi, un divano Ikea, di grande produzione, che se ti siedi su uno in pratica ti sei seduto su tutti, ma ad ogni modo, ribadisco, piacevole, rilassante. Westworld è una sedia in legno oppure una poltrona in pelle, dipende con che luna ti alzi e con che luna si sono alzati alzati quel Nolan lì, e Joy e Gross. Niente. Alla prossima, quando avrò forse il coraggio di parlarne.


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