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Way to Santiago #5- ¡Buen camino!

André non sa spiccicare una parola di inglese, di spagnolo né tantomeno di italiano; parla solo portoghese e in modo incomprensibile, in un dialetto del Sud del Brasile, ma la sua allegria è contagiosa. Alessandro ha percorso la via francese già dodici volte e ogni volta è come se fosse la prima; Jean-Guy e suo nipote Gregoire, dalla Francia alla Spagna, proseguono ogni anno con un pezzetto di cammino per poi tornare a casa. Louis con il suo pastore tedesco, è ormai da anni alla ricerca di se stesso su tutte le vie possibili, in balìa della gentilezza e disponibilità delle persone, variabili che a volte gli garantiscono un pasto e un tetto sotto cui passare la notte, e altre no. Francis in Germania fa l’infermiera e ha un fidanzato, ma il Cammino ha deciso di farlo da sola senza sapere bene il “suo senso”. Jesùs a Villafranca ha costruito un albergue in legno che gli ricorda il suo Brasile, è sporco, precario, l’acqua sa di terra, ma è accogliente e fa sentire bene. Maria e suo padre Luis arriveranno solo fino al monte di O’ Cebreiro e poi torneranno a Valencia, Luis cammina a fatica a causa della polio, ma passo dopo passo condivide questa esperienza unica con sua figlia come e quanto può. Cécile, italo-belga, ha divorziato e il cammino per lei è un modo di mettersi alla prova e superare i suoi limiti. Giovanni è di Chiavenna e per fare lo psicologo ha abbandonata la carriera da ingegnere affermato. Gilbert parla fiammingo, gli piacciono le rondini e se non facesse l’hostalero probabilmente sarebbe il protagonista di una sitcom di successo, una di quelle in cui partono un sacco di applausi e tutti ridono. Le tre signore di Monza che non si separano mai e si sostengono a vicenda, così come le due tedesche di cui non abbiamo mai capito il nome, le incontriamo spesso e parlare con loro è piacevole.

Facce, tantissime, che ti sfrecciano accanto mentre cammini; qualcuno si trascina faticosamente, qualcuno tira dritto e veloce. Ci si supera e riprende, sbeffeggiandosi anche un po’ per questo perché “Tra poco ti raggiungo, dove vuoi andare con quei piedi”. Si chiacchiera, tanto, del più e del meno e in tutte le lingue, ma non sempre, a volte qualcuno ha solo voglia di camminare e respirare. Ciò che però non manca mai è il saluto: il ¡buen camino!” ce lo si ripete spesso anche se ce lo si è già detti poco prima: ogni tratto di cammino merita di essere percorso con il buon auspicio di un altro pellegrino. Soprattutto perché, anche se si parte da soli, il lato bello del Cammino è che da soli non lo si è mai davvero visto che di persone se ne conoscono tante e ognuna ha una storia da raccontare, semplice o incredibile, a volte emozionante. Come quella di un’anziana donna che seguiva in macchina il marito, malato, ma con il grande desiderio di percorrere qualche chilometro di cammino, in modo da arrivare prima di lui in ogni tappa e poterlo aspettare per controllare che stesse bene. O quella di Mauro che per riuscire a partire dalla sua Roma, “ahò”, ha perso decine di chili dimostrando alla sua famiglia di essere un uomo diverso in grado di raggiungere un obbiettivo senza mollare a metà strada.

Mentre in qualche tappa capita di non incontrare molte persone desiderose di condividere esperienze ed emozioni, in altre si finisce per stringere legami che durano per tutto il percorso. Ci si siede intorno a un tavolo imbandito per la cena con tanti piatti diversi cucinati da ognuno, e si chiacchiera alla bene meglio sfoggiando qualche vago ricordo delle lingue studiate a scuola. Si canta e suona perché magari in ostello ci sono una chitarra e un paio di percussioni ed è subito “falò sulla spiaggia” con i Coldplay, Ligabue e Bob Marley. Magari scopri che la ragazza irlandese con le lentiggini, è una fan del tuo stesso cantante preferito, o che il ragazzo italiano con cui stai scherzando in coda per la registrazione all’ostello, stava sul tuo stesso bus dell’andata, Madrid-Léon, cinque ore, e tu non lo avevi nemmeno notato. Il senso di comunità che si costruisce attorno a un pellegrino è forte e indimenticabile, imprescindibile, perché quando per tanti giorni si incrociano le stesse persone viene naturale chiedere come va, confortarle e aiutarle se si trovano in un momento di difficoltà, scherzare con loro sul meteo, sulle rispettive velocità, sulle abbronzature imbarazzanti di braccia e gambe. Ho visto tendiniti guarite con massaggi fatti in mezzo alla strada da un pellegrino conosciuto pochi giorni prima; chili di riso, bottiglie di birra e antidolorifici condivisi; compleanni festeggiati con tanto di dolcetti e candeline in paesini di montagna sperduti che non si sapeva bene dove fossero e l’unica certezza era l’odore di letame delle mucche.

Sul cammino viene voglia di parlare con chiunque, di ascoltare storie, e di raccontarle. Dal punto di vista umano il Cammino di Santiago è un’ispirazione e dopo tutte le “esistenze” che si incontrano durante…una volta tornati a casa non si può non essere cambiati almeno un po’.

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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