Attualità

IJF15 – COMMENTARE ONLINE, SPIEGATO BENE

di Ruben Bianco

 

Nell’ultimo decennio, con lo sviluppo del giornalismo digitale, sono nati e cresciuti degli strani “mostri”, creature a metà tra il diabolico e il divino, tanto amate quanto ritenute causa dei peggiori mali: i commenti online. Nata con il web 2.0, la possibilità di scrivere il proprio parere su un articolo, un editoriale, una notizia, è diventata parte integrante di pressoché tutti i giornali online, dal quotidiano al magazine.

Ma i commenti agli articoli sono davvero utili? Aggiungono valore, o sono solo uno spazio per sfogare – magari anonimamente – i propri pensieri più beceri? Hanno un futuro?

Durante il Festival del giornalismo di Perugia alcuni illustri esperti di giornalismo e di commenti hanno provato a dare una risposta.

 

Per una proficua discussione sul futuro bisogna innanzitutto partire dal presente, che vede una tendenza piuttosto diffusa a non investire sugli interventi degli utenti: Emma Goodman, ricercatrice per il Media Policy Project della London School of Economics and Political Sciences, ha raccontanto che giganti dell’informazione come Bloomberg o Reuters hanno chiuso i commenti sul loro sito, spostando la conversazione sui social media, in uno luogo – ovviamente – non moderato. Anche concentrandoci sulla situazione italiana il panorama non è più incoraggiante: gli spazi per i commenti sono spesso ricettacolo di volgarità e insulti, posti dedicati a liti da “bar sport”, dove la moderazione è assente o insufficiente.

In che modo i contributi degli utenti possono essere utili, ed aggiungere valore alla testata?

Luca Sofri, direttore del Post, ha provato sul suo giornale ad «adottare per i commenti gli stessi parametri con cui si valutano i contenuti giornalistici», senza indulgenze verso gli utenti, moderando tutti i contributi prima della pubblicazione e cancellando quelli che non aggiungono valore. Un metodo che richiede un notevole dispendio di risorse umane e che ha causato non poche polemiche sul web: prima di settembre – quando la redazione del Post ha iniziato a moderare i commenti – lo spazio sotto gli articoli era spesso sede di interessanti dibattiti da parte di una gruppo di lettori  (e scrittori) abituali, che hanno reagito alla premoderazione creando una nuova piattaforma (hookii.it) dove commentare liberamente i contenuti del Post. I commenti, insomma, hanno contribuito a creare una community, un gruppo di utenti fedeli – e di qualità – ,che condividono ed apprezzano lo stile e la visione della testata.

Per Greg Barber, direttore dei progetti per le notizie digitali al Washington Post, questi utenti “intelligenti”, che spendono tempo per aggiungere valore al giornale che amano, vanno trattati con particolare attenzione: «Al Washington Post» – racconta – «vogliamo creare relazioni con i commentatori più validi, comunicargli che per noi sono importanti, ad esempio dandogli l’opportunità di dialogare con gli autori». Anche alla BBC la visione è simile: Chris Hamilton, che è direttore dei social media della testata britannica, è convinto che «i commenti possono aggiungere valore, e proprio per questo è importante investire sulla moderazione. Ci sono persone particolarmente interessanti che devono essere incoraggiate a dire la loro: sono un pubblico di qualità, il giornale non può farne a meno». Insomma, come conclude Sofri: «I commenti mi interessano perché mi interessano i lettori del mio giornale.»

Comunità, valore, moderazione: sono queste le parole chiave uscite dal confronto. Sta ai giornali raccogliere la sfida ed investire su uno spazio per i commenti che sia utile, di qualità, e centrato sui lettori. Le prospettive sono interessanti, ma il futuro è ancora tutto da scrivere.

E da commentare, ovviamente.

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