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“Finale di partita” al Teatro Fraschini di Pavia

Tic-tac, tic-tac. Driiin. Suona una sveglia. Luce. Un uomo entra in scena da una porta laterale e spalanca due finestrelle. E’ mattino?E’ un inizio? Sta forse cominciando qualcosa? Lo spettacolo? La vita? No, niente di più sbagliato. Nulla può incominciare perché tutto deve finire. E’ prossimo alla fine, la quale però tarda ad arrivare.

Questo l’assioma su cui si basa Finale di partita di Samuel Beckett, andato in scena lo scorso 19 gennaio al Teatro Fraschini nella sezione Altri Percorsi con Glauco Mauri, Roberto Sturno e la regia di Andrea Baracco. Si tratta di uno spettacolo complesso ed enigmatico di cui è difficile se non impossibile riassumere l’essenza.

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Al centro della scena, un immenso interno vuoto che ricorda un capannone dalle parenti ammuffite, su di una imponente sedia, simile ad un trono, siede un vecchio. Porta un paio di occhiali scuri e da quella posizione non si muoverà mai. Oltre ad essere cieco infatti Hamm non è nemmeno in grado di camminare. Al contrario della sua controparte, Clov, che non si può mai sedere. La situazione in cui si trovano è volutamente tracciata in modo vago e nebuloso, tuttavia si può intendere che la vicenda sia ambientata in un mondo post-apocalittico e che i due siano sigillati all’interno di un bunker dal quale non possono uscire. Legati da un rapporto frustrante fatto di battibecchi e interminabili contrasti Hamm e Clov si agitano a ritmo serrato, interrogandosi sulla natura della propria condizione e ripetendo continuamente le medesime azioni. Prigionieri delle proprie ossessioni essi cercano infatti di creare una routine fatta di gesti rituali, provando a dedicare i momenti della giornata a qualcosa di specifico, come osservare dalla finestra il mondo esterno. Il che risulta del tutto vano: il panorama è desolato, grigio, immutabile e privo di vita. Manca il senso delle cose e «tutto l’universo puzza di cadavere». Hamm e Clov però non sono soli. Nudi, pesanti, fiacchi e disperati giacciono in due cassoni della spazzatura Nagg e Nell, i genitori di Hamm, massima e agghiacciante espressione della perdita della dignità umana. Le menomazioni fisiche di Clov e Hamm, così come quelle più gravi di genitori di quest’ultimo, privi delle gambe, quasi sordi e ciechi, sono manifestazioni concrete di un malessere interiore, di un indebolimento della forza vitale che colpisce progressivamente.

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Lo spettacolo si presenta come narrativo ma solo in apparenza. A mio avviso infatti esso altro non è che una rappresentazione scenica di una determinata concezione della condizione dell’uomo, il quale è immaginato languire in un perenne malcontento mentre, oppresso dalla fatica di vivere e tragicamente consapevole dell‘assurdità del reale e della vacuità delle cose, si trascina da un’ amarezza all’altra.

Con Finale di partita Beckett compie un gesto che il nostro intelletto è in grado di afferrare a fatica: riesce a trasmettere un assoluto, una visione pura e totale dell’esistenza umana. È un messaggio che allo spettatore arriva pian piano, scaturisce dai piccoli gesti, e in un crescendo di allusioni emerge dalla vaghezza per affermarsi in tutta la sua lapidaria tragicità. In realtà ciò che arriva più che una comprensione effettiva è sensazione viscerale ma la sostanza non cambia: la vita è un eterno trascinarsi in una situazione di stallo, senza via di uscita, senza una ragione. Un assurda vicenda che può solo finire ma non finisce. FinalediPartita4

Esiste però anche un altro possibile approccio alla decodificazione di questo testo, suffragato peraltro da dichiarazioni rilasciate dall’autore stesso. Numerosi elementi, a partire dal titolo, sembrerebbero infatti rifarsi al gioco degli scacchi. Le partite di scacchi sono solitamente divise in tre parti: apertura, mediogioco e finale. Il finale di partita è un momento del gioco caratterizzato da un esiguo numero di pezzi e nel quale uno dei due giocatori è ormai prossimo alla sconfitta. La fine è inevitabile e il futuro perdente non può fare altro che rimandare la propria disfatta cercando di mettere al sicuro il proprio re, che , come fosse infermo, si può muovere di una sola casella alla volta. In questa partita persa dal principio il re è ovviamente Hamm che seduto sul suo trono protrae continuamente la propria agonia.

Assolutamente da segnalare sono le straordinarie interpretazioni di Mauri e Sturno che con una magistrale connessione con i rispettivi personaggi con le relative menomazioni ed un calibratissimo uso della voce sono stati in grado di trasmettere anche le più piccole sfumature del testo.

In conclusione Finale di partita con la regia di Baracco è uno spettacolo di un intensità quasi insostenibile e capace, come un rito iniziatico, di introdurre lo spettatore ad una nuova, assoluta e diversa visione dell’esistenza.