BirdmenCinema

Doctor Strange: magia in stile Marvel

Dopo una lunga gestazione che ha il suo inizio fin dalla seconda metà degli anni ‘80 (precisamente dal 1986, con una sceneggiatura di Bob Gale, sceneggiatore di Ritorno al Futuro e ora in polemica con le scelte Marvel di “whitewashing” del personaggio dell’Antico)  approda sullo schermo un personaggio particolare, diverso dagli altri protagonisti Marvel, scritto e disegnato da Steve Ditko (già disegnatore di Spider-man) e pubblicato per la prima volta nel 1963:  il Dr. Stephen Strange, che non  è né un dio né un uomo, ma un individuo a cui il caso ha donato poteri soprannaturali.

Strange è un neurochirurgo di fama mondiale, arrogante, con una personalità fortemente egocentrica e dotato di straordinaria intelligenza e capacità mnemonica, la cui carriera e autostima vengono frantumate da un violento incidente stradale, nel quale subisce danni così gravi alle mani da vedere compromessa per sempre la loro funzionalità, rendendo impossibile il ritorno all’attività medica. Alla ricerca di una soluzione al problema e per recuperare il proprio talento nella chirurgia, il dottore viene a conoscenza di Kamar Taj, luogo dove potrebbe trovare una cura. Vi si recherà e incontrerà L’Antico che, attraverso i suoi insegnamenti, lo introdurrà in un mondo inaspettato, un mondo multidimensionale di magie ed incantesimi, e ad un nuovo stile di vita mistico-ascetico dove il dottore potrà imparare l’umiltà e l’autocontrollo, oltre le arti marziali e magiche, fino a comprendere la sua vera strada che, d’altronde, in un certo senso, aveva già intrapreso con la carriera medica: combattere il male.

I primi minuti del film, dopo il prologo “magico”,  sono un brulicare di inquadrature sulle mani di Strange, come a dirci di guardarle adesso in tutta la loro abilità, in tutta la loro chirurgica precisione perché non le vedremo mai più così, ma il cambiamento non sarà necessariamente solo ed unicamente quello negativo – consecutivo all’incidente –  anzi, attraverso le mani si apriranno nuovi mondi, letteralmente. Le mani sono lo strumento del medico che opera, ma anche quello dello stregone: scienza e stregoneria non sono solo una dicotomia ma sono a stretto contatto e intrecciati come lati di uno stesso nastro di Moebius; Strange è il centro dell’incontro/scontro tra mondo medico e mondo magico e non perde occasione per reclamare il proprio titolo di Dottore, e non quello di Maestro Stregone.

Doctor Strange, si inserisce nei meccanismi ben oleati della terza fase delle storie Marvel innestando, nel mondo icosaedrico dei variegati supereroi della casa editrice statunitense, un nuovo elemento, ovvero la magia, che porta in dota anche una gradevole freschezza.

La pellicola diretta da Scott Derrickson, regista di horror come Sinister e The Exorcism of Emily Rose, ha la forma di un film di introduzione del personaggio, ma la presentazione viene sciolta con un discreto successo senza grandi errori e mantenendo un buon ritmo. Vero punto di forza è la visionarietà della messa in scena, gli effetti speciali che, nella totale assuefazione all’effettistica del cinema post-moderno, riescono ottimamente nell’obiettivo di sorprendere lo spettatore. L’immaginario è quello onirico, dei paradossi architettonici e delle illusioni ottiche di Inception di Christopher Nolan ma anche quello delle paradossali geometrie e delle esplorazione dell’infinito di Maurits Cornelis Escher (così come lo stesso artista olandese era stato ispirazione proprio per Nolan per gli effetti del suo settimo film).

Londra, città in cui la vicenda è ambientata, e i suoi palazzi si ripiegano su se stessi, vediamo grattacieli scivolare in orizzontale e strade verticalizzarsi in un infinito frammentarsi e ricomporsi con un risultato divertente e spettacolare per chi osserva, con effetti speciali non fini a se stessi ma volti a mostrare “il mondo della magia” che nasce con gli incantesimi degli stregoni.

Non manca il solito umorismo fumettistico, l’onnipresente cameo di Stan Lee è caratterizzato dall’ironia con il patron Marvel sull’autobus che legge Le porte della percezione di Aldous Huxley richiamando la filosofia lisergica del film. Persino l’incontro con l’entità di pura energia mistica Dormammu, momento di risoluzione, momento importante che ci mostra come e quanto Strange sia cambiato, momento fondamentale per la salvezza del mondo, è anche il clou “comico”.

Indubbiamente interessante è la scelta del cast, elegante e “raffinata”, in particolare Benedicht Cumberbacht si conferma per l’ennesima volta bravissimo attore, inoltre perfetto nei ruoli di personaggi egocentrici, arroganti e/o sociopatici (vedi Sherlock Holmes o Alan Turing) ma anche la scelta (criticata da Gale perché lontana dall’originale mitologia fumettistica) della diafana Tilda Swindon per intrepretare il ruolo dell’Antico, in una nuova figura esclusivamente cinematografica ambigua e indefinibile come genere e come età, ha un’ottima resa e lei è perfettamente credibile.

Unica pecca forse un villain, Kaecilius, bene interpretato ma poco caratterizzato dalla sceneggiatura, un villain in cui ritroviamo il recente refrain del cattivo/non cattivo che ha semplicemente una visione diversa del mondo non per forza di cosa sbagliata, che non vuole distruggere il mondo ma cambiarlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *