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Di chi avremo cura? Intervista a Gianni Montieri

Gianni Montieri è nato a Giugliano – in provincia di Napoli – nel 1971, ma ormai da diversi anni vive e lavora a Milano. Nel 2010 ha pubblicato il suo primo testo poetico «Futuro Semplice». Nel 2014 «Avremo cura». Per otto anni è stato caporedattore per il litblog Poetarum Silvae. Suoi testi sono altresì rintracciabili nei numeri sulla morte e sull’acqua della rivista monografica Argo e sui principali siti letterari italiani e nel numero 19 della rivista Versodove. Inoltre ha scritto la fiaba “Il pifferaio magico” per il volume Di là dal bosco (2012) ed il  racconto “La sarta di Herrera” per Deaths in Venice (2017). Ad oggi, racconta di calcio su Il Napolista; collabora con Rivista Undici e Doppiozero; è redattore per The FLR; ha un blog letterario per Huffington Post e fa parte del comitato scientifico del Festival dei pazzi. Il suo blog è giannimontieri.com .

Inchiostro ha avuto la preziosa occasione di poterlo intervistare, per scoprire in che modo intenda il ruolo del poeta e della poesia oggi giorno, e in quali termini egli abbia scelto di raccontarlo.

La raccolta che precede «Avremo cura» è «Futuro Semplice», del 2010. Mi dica se sbaglio, ma, leggendo il testo, la cosa che più incoraggia è la sensazione che la via della solitudine che percorrono le parole sia alla disperata ricerca di un “tu” al quale parlare. Le porgo dunque questa domanda: quando la poesia interessa anzitutto come espressione empatica di vissuti esperiti, quanto conta invece la sua architettura stilistica? O, per meglio dire, quanto – in questo caso – la comprensione del dettaglio, quanto quella della ricerca fenomenologia dell’origine, incide sulla crescita del personale “benessere” derivante dall’immedesimazione emotiva? Riassumendo: quanti livelli di comprensione crede esistano – se esistono – nella lettura di una poesia?

Futuro SempliceCredo che i livelli di comprensione in poesia siano infiniti. Contano poi, in egual misura, l’espressione empatica e l’architettura stilistica – non possono far altro che viaggiare insieme. L’una è legata all’altra. Tornando a ciò che si comprende di un testo o a quanti mondi un testo poetico comprenda mi sento dire che se una poesia è riuscita, qualunque sia stata l’intenzione dell’autore, sarà il lettore a trovarne un senso.  «Futuro Semplice» credo che fosse già alla ricerca di un “noi” anche del passato per sopportare meglio la perdita di un “tu”, ma era anche un libro che depositava scorie e si poneva una semplice domanda: Andiamo a vedere che succede.

Entro adesso più nel dettaglio di «Avremo cura». La sua poesia ha un andamento principalmente narrativo e/o prosastico: in quali termini questo è voluto? Qual è, se c’è, il rapporto che lei individua tra narrazione e poesia? Lei ha scritto anche prosa, e prosa narrativa, perciò… E, infine, quali autori hanno maggiormente influito su questa scelta?

Nel caso di «Avremo cura» parlerei di andamento essenziale, di una scelta di parole volutamente piana perché abbastanza duri erano i temi toccati, non era il caso di enfatizzare. Penso che tra poesia e narrazione vi siano dei punti in comune; la narrativa (penso soprattutto ai racconti brevi) si avvicina alla poesia quando riesce ad accelerare nelle intenzioni e nel risultato, di più cose fa a meno la narrativa e più si avvicina al testo poetico. Non ci sono autori in particolari che influenzino le scelte di scrittura, nel mio caso potrebbero essere addirittura decine, si scrive, ma soprattutto si legge; Bolaño diceva “Leggere è sempre più importante che scrivere”.

Non posso fare a meno di evidenziare la sua attività sul web. Attualmente non solo scrive per siti di letteratura (Doppiozero, minima&moralia, huffingtonpost…), ma anche, spessissimo, di sport, del suo Napoli (sul Napolista) e sul tennis, per esempio, sulla rivista Undici. Vorrei chiederle, se pertinente, in primo luogo, se e in che modo la prosa saggistica o giornalistica abbia influito sulla sua poesia. In secondo luogo che valore lei attribuisce alla presenza di scrittori sui social, sul web, sull’interminabile luogo pubblico che è la rete.

Io credo che scrivere recensioni o articoli più lunghi sui libri, o scrivere di sport, non influenzi direttamente la mia poesia, penso che sia più facile il contrario. Sono quasi certo che quando scrivo un articolo da qualche parte sia sempre nascosto il mio modo di fare poesia. In ogni caso, gli articoli molto frequenti non possono far altro che migliorare l’approccio alla scrittura; si è costretti a essere molto attenti, chiari e sintetici.
La presenza di scrittori sui social e sul web è di certo una presenza di valore. Il web è un campo aperto che offre una marea di possibilità, ovviamente al suo interno c’è di tutto, siamo abituati a vedere (soprattutto sui social) un sacco di personaggi che si dicono scrittori senza esserlo, ma allo stesso tempo ci troviamo la gran parte degli autori che valgono qualcosa. Credo che uno scrittore in rete possa soprattutto imparare, allenarsi allo scambio diretto e rapido, se poi è veramente bravo può di certo trasmettere qualcosa agli altri.

Avremo curaNella seconda parte di «Avremo cura», che si intitola «(Sud) in caso di morte» – ma anche nei numerosi elaborati apparsi per le varie riviste letterarie per cui ha scritto e scrive – non ho potuto non collegare il terzo testo ad un’ideale (ma anche concreta) dialettica nord-sud. Lei è nato a Napoli, ma vive da anni a Milano. Ha quindi potuto conoscere i due estremi culturali (e non solo) del nostro paese, e saggiarne le differenze e le contraddizioni. Nel testo, infatti, lei scrive: «Ai funerali di mio nonno non ho pianto/[…] da noi se non piangi […]/ vuol dire che non t’importa nulla// ora vivo al nord, il dolore qui è privato […]». Potrebbe raccontarci meglio cosa intende con queste parole? E, più in generale, quali e di che tipo sono state le influenze cui ha attinto la sua produzione letteraria a seconda della variabile geografica?

In quella poesia gioco con uno stereotipo; nell’immaginario collettivo resistono idee di funerali al sud in cui i parenti del morto si strappano i capelli, oggi forse non è più così. Il dolore qui è privato non vuol dire solo che sia un fatto personale e di riservatezza, vuol dire anche che è tolto, portato via, perché non si ha tempo per manifestarlo, e allora il dolore nel testo è secondario, quello che conta è la mancanza, quella sì che è un fatto privato, e non la si racconta perché non si può, con ogni probabilità, che tu viva al nord o al sud. La mia scrittura è quella di un viaggiatore ed è quella di un lettore; i luoghi in cui ho vissuto o quelli in cui vado sono la rappresentazione dei miei stati d’animo, scrivo forse perché non capisco se sia il mio stato d’animo a cambiare il luogo in cui mi trovo o, al contrario, se sia il posto a mutare il mio.

Se possibile, ora, vorrei porle, una domanda particolare. Un weekend sono tornato a casa dalla mia famiglia. Avevo da poco acquistato «Avremo cura» in libreria. Quel giorno mio nonno l’ha preso e ha letto il titolo ad alta voce. Poi mi ha detto: «Che titolo curioso Davide. Avremo cura. Ok, ma di cosa? E di chi?». Vorrei quindi rivolgerle la medesima domanda: al di là di ciò che racconta “la trama”, di chi e di cosa dovremmo e dovremo avere cura? E a chi e a che cosa si riferisce il titolo del testo – se davvero lo fa – oltre ai due amanti?

Avremo cura significa un sacco di cose, intanto prendersi cura di chi si ama, e preservare ogni momento, mantenerlo, conservarlo. Significa anche aver cura tutto quello che è stato, ogni lezione, ogni sbaglio, ogni istante o persona che abbiano contato. Infine, è una speranza, è il mio modo di intendere il futuro.

«“Noi” Avremo cura, ma quando? E dove?». Leggendo i versi «guardando/ un luogo che non c’è/ ho pianto» mi ha raggiunto la mente, come un lampo, la celebre asserzione di Melville: «i luoghi veri non esistono mai». Ecco perché mi sono chiesto quando. Mi sono chiesto dove, invece, leggendo dei versi pochi distanti: «[…] un posto dove non si muore/ […] da poesia». Non ho potuto quindi fare a meno di pensare alla relazione tra poesia e eternità. Lei cosa risponderebbe, allora, se le chiedessi «quando?» e «dove?» avremo cura?

Aggiungo al grande Melville che forse i luoghi ideali siamo noi, e questo è il dove. Il quando parte dalla nostra memoria ed è tutto quello che verrà da ora in poi, perciò è da stabilire, scrivere è un modo (uno dei tanti) per arrivarci.

[La foto in copertina è proprietà di Anna Toscano].

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