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Crisi della Sinistra: l’analisi di un mancino

Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del reazionarismo.

Abbiamo superato quasi 50 anni di governo DC, di pentapartito; sono passate molte primavere e qualche autunno caldo; molti Natali e qualche accordo di San Valentino. Ma la politica va avanti. Il Paese va avanti. Il mondo non si fermerà oggi per far scendere o salire qualcuno. Semplicemente oggi si cambia posto all’interno di un autobus che sembra aver premuto il freno. Lentamente per ora. Solo per decelerare. Non abbiamo inchiodato, abbiamo solo perso nella normale alternanza politica. Il problema, che non esiste perché altrimenti dovremmo ammettere che la democrazia è un problema, è che è un’alternanza a tre fattori. Probabilmente da Livorno ‘21 la Sinistra in Italia ama discutere. Forse per una propria natura intellettuale, o presunta tale, che cerca continuamente di aggiungere virgole, rimandi, postille ai mattoni monumentali che costruiscono lo schieramento ideologico-politico più vasto che ci sia. Mille sfaccettature di uno stesso credo, fatto di libertà e uguaglianza sociale, dignità e sostenibilità economica. Sono concetti difficili da far passare agli elettori, soprattutto quando l’elettorato pensa che al diritto acquisito da uno equivalga un diritto perso da se stesso. Lo abbiamo visto prima con la Cirinná e poi con lo Ius Soli. Vogliamo dirlo che in Italia, oggi, la sinistra è l’unica forza intellettuale che cerca di lanciare un paese in un mondo globalizzato, non nei capitali economici ma in quelli sociali? La globalizzazione, tema che faceva tremare gli anni ‘90 e i primi 2000, ha lasciato il posto ad altre tematiche figlie della crisi. Ma forse dovremmo tornare sul tema ancora una volta. Se ad un certo punto della nostra storia abbiamo deciso di ripercorrere le stesse strade già battute 80 anni fa, significa che da qualche parte, noi presunti intellettuali di sinistra, non siamo riusciti a far capire l’importanza di un mondo aperto. Senza delle guide in grado di indirizzare il futuro, gli “orfani mancini” si sono trovati in balia di chi gli ha raccontato che diverso è brutto, che straniero significa cattivo, che l’onestà (presunta) è qualità. Le destre, i populismi, gli anti-sistema non hanno vinto. Hanno perso le sinistre, le migliaia di sinistre che pur di non definirsi hanno scelto di comandare ognuno una ruota diversa dell’autobus, fino a farlo schiantare. La colpa, a monte, sta nell’incapacità di comunicare i giusti messaggi nel giusto modo. Uso “giusto” in senso anche morale poiché i valori della sinistra, che oggi va in letargo per almeno una legislazione, sono quelli che hanno spinto il mondo a migliorarsi in tutti i momenti cruciali. Le rivoluzioni del ‘900, quelle del superamento della servitù della gleba dell’800, quelle del ‘700, quelle della diffusione della cultura del ‘500; e ancora prima abbiamo quello che ironicamente, vista l’avversione di questa parte politica per tale credo, fu il più grande socialista di tutti i tempi e che nel bene o nel male ha sovvertito completamente la storia umana, Gesù. Non sto pontificando sul nulla, ma espando il concetto di sinistra a ciò che va oltre la mera codificazione del significato partitico. La sinistra è ogni forma di progressismo che cerca di far fare alla società un balzo in avanti, non per un tornaconto personale, non alla ricerca di un potere oligarchico, ma per la volontà di riscatto della base nei confronti di un vertice opprimente. Sinistra è ogni tentativo di rivalsa che cerca una mediazione. Certo, innegabili le degenerazioni che dalla sinistra sono nate, in primis quella sovietica e oppressiva. Ma la degenerazione di un fenomeno non significa che il concetto è sbagliato. Il dito va piuttosto puntato contro le persone che di una certa ideologia abbracciano solo quello che fa comodo.

 Si badi bene però che quando dico che è venuta meno la comunicazione, non sostengo che abbiamo sbagliato strategia di marketing. La campagna del principale partito di sinistra, PD, è stata politicamente esemplare per quanto semplice e suicida: hanno parlato di fatti. E allora dov’è l’errore di comunicazione? Hanno voluto vendere ombrelli nel deserto. Hanno voluto offrire dei valori che non sono forse più presenti nella società, non in questo momento storico. La colpa non è di nessuno e lo è di tutti. Se la gente, se l’elettore, se il popolo dimentica cosa significa aiutare i fratelli, vuol dire che qualcuno non sta più insegnando la giusta lezione. Se tutta la classe sostiene il bullo, significa che la maestra non sta facendo il suo lavoro. Il popolo è fatto di miliardi di teste con bisogni primari e secondari. Oggi si è preferito tappare i bisogni primari scordandosi che è con i secondari che i primi acquistano valore. Cosa sarebbe un pranzo con gli amici o con la famiglia se l’unico scopo fosse quello di nutrirsi? Oggi la maggioranza ha scelto di sfamarsi senza ragionare sui bisogni secondari, ovvero sui costrutti sociali che danno senso alle cose. Promettere un reddito di cittadinanza può essere un salvagente senza precedenti, ma punta a sfamare l’elettore nell’immediato e a tornare come un boomerang verso chi l’ha proposto non appena si rivelerà insostenibile o controproducente; allo stesso modo la flat tax punta a saziare l’elettore facoltoso dicendo a quello più modesto che così verrà assunto dal primo, eppure addio progressività, addio equità, addio tre scale per tre persone di altezze diverse (se io sono più basso e voglio vedere al di là di un muro, avrò bisogno di una scala più alta di te che sei più alto); dire che gli immigrati sono il problema punta ancora una volta a sfamare nell’immediato l’elettore, gli fa credere che tutti i mali del mondo abbiano una sola causa, che in un sistema così grande e complesso il contadino negro sfruttato dal caporalato stia davvero succhiando risorse invece che rendersi schiavo di chi si definisce ‘razza bianca‘ con un non so che di superiore. Rispetto a chi, bisogna capirlo.

Abbiamo perso, forse l’Italia ha perso, ma la storia è storia. Tutto trova un suo senso nella ciclicità. Bisogna poi vedere quanto dura questo ciclo. Allo scorso giro, la crisi della prima Repubblica aveva portato a una nuova politica figlia della TV, del trash, ma con una vaga cultura liberista (Forza Italia) e territoriale (Lega Nord). Lo scorso ciclo è così durato circa 20 anni, se consideriamo il tracollo della destra del 2011/13. A quel punto sembrava essere il momento della sinistra moderata, finalmente il momento di riscattarsi. Ce l’ha fatta. Nel giro di 5 anni, merito anche di figure esterne alla politica quali Monti che sul piano internazionale gode di buona fama checché se ne dica, l’Italia acquisisce valore. Parliamo di soft power, non di forza bruta. L’Italia è una piccola provincia del mondo senza grosse risorse per le grandi industrie che rendono certi paesi potenze egemoni. Ci dimostriamo spesso molto in gamba, ma siamo altrettanto bravi a piangerci addosso non vedendo i nostri meriti e sprecando così infinite opportunità di prenderci il posto che ci spetta nei campi in cui eccelliamo, sempre con sentimento di sana sfida e cooperazione fra popoli, non nazioni. Sembra quasi che la politica si sia polarizzata così tanto da aver perso di senso, fino a dimenticare lo scopo ultimo della politica con la P maiuscola, cioè quello di fare del bene e di farlo per tutti; a quel fine ha preferito sostituire il paradigma ”se affondo io, affonderemo tutti” trascinando tutti verso il basso, a cominciare dai toni delle discussioni e dai valori. Se la seconda Repubblica nasceva con una cultura castrata, la terza, che sta sorgendo or ora, è nata non dalla TV, ma da Internet. Lungi da me affermare che Internet non sia la più grande rivoluzione culturale, probabilmente, degli ultimi secoli, ma dando a tutti un mezzo per parlare ha tolto ai pochi in grado di farlo effettivamente il mezzo per parlare bene.

Ed ecco il punto: tutto questo è il peso della democrazia. Se oggi vogliamo essere tristi, dobbiamo esserlo per gli ideali che volevamo che il nostro paese incarnasse, ma fra questi ideali di sinistra spicca, e sempre dovrà spiccare, la Democrazia. Oggi abbiamo perso ma abbiamo vinto. Ogni volta che il popolo ha modo di esprimersi, la Sinistra ha vinto qualcosa. Sta quindi a tutti quelli che credono in un futuro più giusto, più equo (e non uguale, non tutti siamo alla stessa altezza) e più globale, dimostrare di essere distanti dalla “malasocietá” e, come fece Tortora, ripartire da dove eravamo rimasti.

Viva l’Italia, viva l’Europa, viva la Democrazia anche quando non ci piace il risultato.

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