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BULLISMO: quando non sentiremo più questo termine?!

Si sente spesso parlare di violenza di genere, ma non dimentichiamoci che esistono anche altri tipi di forme di violenza, messi in atto da chi prova piacere nello spaventare o arrecare danni, fisici e mentali, a chi è più fragile.
I primi ricordi che ho del termine “vittima” risalgono alle letture sui testi dell’antologia durante gli anni della scuola media. Il professore di italiano ci raccomandava di prestare attenzione a chiunque frequentassimo: era il periodo delle prime compagnie e quindi delle prime prove di vita, lontano dalla protezione dei genitori.

Attraverso le storie che ci venivano raccontate e quello che sentivamo nei quotidiani, che ne parlavano anche troppo spesso, prendevamo coscienza di cosa s’intendesse per violenza, di quanto fosse ingiusta e di quanto dolore causasse all’anima, prima ancora che al corpo.

Siamo stati tutti vittima di qualcuno che si credeva superiore a noi e che ha voluto ledere la nostra tranquillità. Spesso questa persona non solo non aveva nulla per cui potesse vantare una superiorità rispetto a noi, ma provava anche un profondo sentimento di invidia nei nostri confronti che sentiva, per orgoglio, di dover nascondere.
“Se non sono soddisfatto della mia vita, faccio in modo che nemmeno quella di chi apprezzo, ma non sopporto, sia così piacevole. Almeno non sarò infelice da solo!” potrebbe essere il pensiero medio della persona che definiamo “bullo”.

La cronaca attuale mi fa riflette sul fatto che, anche se sono ormai trascorsi quindici anni da quando discutevo di questo argomento sui banchi di scuola, la situazione non è cambiata. Anzi è cambiata, ma in peggio: ora, tramite le nuove tecnologie, è possibile innescare una spirale ancora maggiore violenza, poiché comunicare è gratuito, immediato, e anonimo. Comunicare attraverso un computer permette di annullare le distanze e di nascondersi dietro a un monitor e a un falso account, colpendo la vittima con insulti, minacce e derisioni.
Il social network più famoso di tutti, Facebook, è stato inventato nel 2004 al fine di facilitare il ritrovamento dei vecchi compagni di scuola. Obiettivo? Solidarietà ed amicizia. Ma alcune menti ristrette hanno reso questo strumento, inizialmente geniale, il motivo principale di liti e separazioni. Ironia della sorte che fa riflettere, no?!

Ma Facebook resta comunque una piattaforma che, se usata in modo costruttivo, può portare a dei risvolti positivi. In questi giorni, ad esempio, un padre ha pensato di denunciare un episodio di violenza postando la foto del figlio con il volto tumefatto sul social network e in breve tempo il post ha registrato oltre 200.000 condivisioni! Dai numerosi commenti, inoltre, si evince come la violenza non sia un argomento poco dibattuto, ma molto discusso, tanto nelle sue forme più lievi quanto in quelle più gravi. Rincuora anche il pensiero espresso dai compagni di scuola del ragazzino:”Chi tocca te, tocca noi!” Io questo l’ho voluto sentire come un urlo collettivo per dimostrare l’affetto provato nei confronti del proprio compagno che ha bisogno di ritrovare le forze dopo questa terribile esperienza accadutagli soltanto perché non ha potuto prestare un accendino. Il motivo?! Lui non fumava, e per questo è stato considerato come diverso, “inutile” e non meritevole di rispetto.

Il pensiero dei compagni di scuola è stato anche un modo per dare appoggio al ragazzo perché non si sentisse solo. Solo come invece è chi cerca di ottenere meriti togliendoli ad altri.

 

 

 

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