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Caso Raissouni: in Marocco la verità va a braccetto con la revisione del codice penale

Un anno di carcere senza condizionale. Questo il verdetto finale sancito il 30 settembre scorso dal giudice che in ultima istanza ha valutato la posizione di Hajar Raissouni, giornalista marocchina 28enne arrestata il 31 agosto all’uscita di una clinica di Rabat dove si era recata insieme al compagno, l’attivista sudanese Refaat Alamin. Il motivo? Secondo la polizia e la magistratura marocchina la donna avrebbe richiesto in quella clinica che le fosse praticato l’aborto, fatto che invece Raissouni contesta sostenendo di esservi entrata solo per ricevere trattamenti in seguito a un’emorragia interna. Quest’ultima versione dei fatti viene confermata anche dal suo ginecologo, e chiaramente dal compagno, entrambi ugualmente imputati e condannati, a due anni, il primo, e a un anno, il secondo. Non uno, ben due, però, sono i capi di imputazione della donna la quale avrebbe infranto una seconda legge, quella che vieta di intrattenere rapporti sessuali prima del matrimonio. Entrambe le leggi sopra citate sono contenute nel codice penale marocchino il quale ricalca i precetti della religione islamica. All’interno del corpo di leggi si ritrova così il divieto di abortire, all’articolo 490 quello di avere rapporti prima del matrimonio oltre a una serie di altri articoli che egualmente pongono dei limiti ai comportamenti attinenti alla sfera affettiva (e sessuale). Come ad esempio omosessualità e tradimento del consorte, rispettivamente artt. 489 e 491. Secondo la Corte marocchina Hajar avrebbe quindi infranto una seconda legge fondamentale, cioè quella che vieta di avere rapporti sessuali fuori dall’unione matrimoniale. Anche questo fatto è stato in realtà smentito dalla giornalista e dai suoi legali che sostengono che lei e Alamin fossero sposati e che il contratto di matrimonio, stipulato in Sudan, non fosse stato ancora registrato in Marocco.

Tutta la vicenda si gioca in fondo su una contrapposizione ormai insita nel paese: quella tra un sistema di leggi severo e, a detta di alcuni, ormai obsoleto, e uno stato che si professa invece sempre più al passo con i tempi. Attorno alla questione aleggia però un’ombra di mistero sollevata da chi adduce a possibili motivazioni e implicazioni politiche e professionali nascoste dietro all’arresto della giornalista. Hajar lavora infatti per il quotidiano indipendente “Akhbar al-Yaoum” il quale in passato si è più volte schierato contro le posizioni dell’attuale governo (ad esempio, e proprio nella persona della stessa Raissouni, durante le proteste nella regione Rif del 2017).

Breve parentesi esplicativa: il Marocco è una monarchia costituzionale che ha però in tempi recenti fatto propri alcuni caratteri delle democrazie costituzionali: vi è infatti un sovrano, re Mohammed VI, appartenente alla dinastia alawide (che regna dal 1659 ndr), affiancato da un governo a cui è stato, dal 2011 (a seguito delle ondate di rivolta che hanno coinvolto tutto il Maghreb e quindi alla promulgazione di una nuova Costituzione) delegato quasi tutto il potere esecutivo. Il monarca ha infatti deciso di svestirsi del potere che possedeva in precedenza facendo, in teoria, un passo indietro per lasciare spazio a un sistema più “moderno”; in pratica, secondo i più, per evitare di inimicarsi la popolazione a fronte di scelte politiche infelici che vengono invece ora prese dal Primo Ministro. In buona sostanza, al sovrano compete ancora la decisione di deporre il presidente qualora questo venisse sfiduciato. Il potere legislativo è invece detenuto dal Parlamento bicamerale (Camera dei Rappresentanti e Camera dei Consiglieri). Il Primo Ministro in carica dal 2017 è Saadeddine El Othmani, del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (partito che promuove islamismo e democrazia islamica, riconfermato per la seconda volta nelle ultime elezioni e che si ispira all’AKP turco di Erdogan). Nel corso degli anni, a partire dalle rivolte del 2011 fino a quelle del 2016/2017, seguite dalle elezioni, “Akhbar al-Yaoum” aveva più volte criticato nei propri articoli le posizioni del governo e, anche se chiaramente queste teorie non possono essere confermate, il direttore e alcuni dei giornalisti sono stati arrestati con motivazioni totalmente diverse, ma talmente “assurde” da lasciare intendere che al governo l’operato del quotidiano non andasse particolarmente a genio. Per questa ragione la vicenda Raissouni sembra presentare diversi punti oscuri. (Se si aggiunge poi che gli zii della giornalista sono, uno, editorialista dello stesso giornale, e l’altro, un importante e riconosciuto ideologo islamista ultraconservatore dichiaratamente schierato contro la maggioranza parlamentare, la faccenda sembra assumere ancora ulteriori sfumature di colore. La stessa Raissouni ha affermata di essere stata interpellata, durante l’interrogatorio, in merito ai suoi legami di parentela).

Indipendentemente dalla verità dei fatti che, ad ora, non possiamo conoscere, e che attivisti e associazioni per la tutela dei diritti umani chiedono a gran voce, il caso Raissouni riporta nuovamente a parlare di diritti della donna e uguaglianza in un paese che si appoggia ancora a un codice penale che ormai la maggior parte della popolazione e i suoi rappresentanti stessi non condividono più. Di per sé, infatti, al di là di quale potrebbe essere stato il reale svolgimento della vicenda (che si spera di scoprire il prima possibile per amor di verità e giustizia), il fulcro principale del dibattito dovrebbe forse essere non tanto il perché Hajar sia stata incarcerata (ripetiamo, ammettendo di non conoscere per un attimo tutti i retroscena, anche politici, di questa storia), ma se abbia ancora senso l’esistenza di leggi che considerano le azioni commesse da lei e molti altri cittadini crimini passibili di detenzione. Dopo che Hajar è stata messa in carcere, infatti, si è ricominciato a parlare di women empowerment; “possibilità di decidere” per se stessi e il proprio corpo; violazione della privacy (in particolare per la diffusione di dati sensibili che la riguardavano e per il tipo di esami che le sono stati praticati per poter accertare i capi di imputazione). E si fa sempre più sentire la necessità di rivedere quelle leggi che tanto dividono l’opinione pubblica. Il partito liberale di opposizione, la Federazione della sinistra democratica (FGD) guidata da Omar Balafrej, ha proposto la revisione delle leggi che puniscono con il carcere aborto, rapporti fuori dal matrimonio, omosessualità e adulterio. Un progetto già annunciato nel 2016 e che quest’anno ha finalmente lasciato spazio ai parlamentari di avanzare le proprie proposte entro un termine (10 settembre) che poi è stato curiosamente posticipato a una data non meglio identificata. Lo stesso Balafrej è stato accusato di voler portare la débauche nel paese e, ad ora, non si sa quando effettivamente le proposte verranno esaminate.

Si tratterebbe di una depenalizzazione su piccola-media scala, in fondo, vista l’esistenza di molte altre leggi che puniscono in modo intransigente azioni che noi non considereremmo suscettibili di tale trattamento, secondo un approccio senza dubbio “etico” (e quindi da esterni che hanno una visione plasmata dal proprio modus vivendi e dalle proprie categorie) e non, viceversa, emico (dall’interno ndr). Ciò che però chi richiede a gran voce la revisione del Codice Penale sottolinea è che almeno in questo modo si andrebbero a eliminare contraddizioni irragionevoli e inaccettabili. Quello che in questo momento in tanti si chiedono ad esempio è che senso abbia intervenire nei rapporti privati di coppia quando già vengono controllati in pubblico. (Si ricordi che lo scambio di effusioni in pubblico è egualmente vietato e nessuno si batte per eliminare questa legge). Oppure, perché criminalizzare l’aborto quando poi, è risaputo, le donne che non possono praticarlo nel paese si recano all’esterno o lo fanno clandestinamente, e quindi la legge non elimina, ma, forse, riduce soltanto i casi di donne marocchine che abortiscono.

Che la revisione di queste leggi possa magari rivelarsi un passo verso quella modernizzazione tanto agognata dal popolo marocchino?

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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