Attualità

Africa e democrazia. Intervista al Prof. Morone – Parte 1

 

di Giovanni Cervi Ciboldi

 

Governi militari, fondamentalismo islamico, Sharia interpretata rigidamente. Sono queste alcune delle preoccupazioni degli osservatori occidentali che hanno guardato con favore al crollo dei regimi, ma che oggi potrebbero non esultare davanti alla attuale situazione del Nordafrica.
Nel valutare la nostra storia contemporanea, però, si corre sempre il rischio di guardare ai fatti attraverso la lente della ideologia, della logica prettamente politica e europeista.
Alla ricerca di una voce autorevole, che sappia guardare ai fatti nel modo più oggettivo possibile, abbiamo scelto chi dell’Africa ha fatto un oggetto di studio. Per questo abbiamo intervistato il professor Antonio Maria Morone, docente e ricercatore di Storia dell’Africa alla Facoltà di Scienze Politiche dell’ateneo pavese.
Che parte da un presupposto: la lotta per la democrazia in Africa non è ancora vinta.

 

Le rivolte si sono concluse. I paesi nordafricani hanno saputo lasciarsi alle spalle i regimi per arrivare alla democrazia?

Non si può ancora parlare di democrazia. E’ vero, si sono lasciati alle spalle dei regimi che erano al potere da venti o quarant’anni. Parlare di democrazia però è prematuro, soprattutto per l’Egitto e la Libia. La Tunisia è più avanti, ha fatto le prime elezioni, ha dimostrato di saper guidare una transizione ordinata verso la democrazia. Ma per dire se funzioni è presto: occorre guardare ai futuri sviluppi del governo e del nuovo assetto politico. Sicuramente è il paese messo meglio.

In Egitto?

In Egitto, quello che è successo al Cairo dimostra che è cambiato l’esponente principale del regime, ma che sia cambiato il regime è in dubbio. Il potere di Mubarak era fondato sull’esercito, sia dal punto di vista poltico ch eda quello economico: l’esercito è poi rimasto al potere e rimane custode della transizione. Quindi mi sembra che sia prematuro dire che si è arrivati alla democrazia.

Poi c’è la Libia.

In Libia la situazione è ancora più difficile: non si sa ancora bene cosa stia uscendo dalla guerra. Rispetto agli altri casi, dove si cerca di cambiare il regime, in Libia è in gioco anche lo stato in sè: la Jamahiriya libica di Gheddafi è finita con Gheddafi, quindi bisognerà anche ripensare a uno stato libico al di là della Jamahiriya, cosa che non è stata ancora fatta.

Costruendo istituzioni.

Certo. Istituzioni da creare tenendo conto che vi possono essere dei rischi dati da forze centrifughe che possono portare a una rottura dell’unità nazionali. La rivolta è nata in Cirenaica e si è configurata come guerra civile tra est e ovest: l’ovest ha sostenuto il regime uscente fino alla fine. A Tripoli si sosteneva il regime anche per interessi economici e privati, ma anche per una sorta di patriottismo vista in Gheddafi. La Cirenaica è invece sempre stata vista come una regione dissidente, anche nella storia, e la frattura non è mai stata sanata. Oggi questa divisione del paese torna, e bisogna vedere se si sarà in grado di ricreare una unità nazionale. L’ipotesi di una Libia federale non è così campata per aria.

Ma ci si pensa dentro o fuori dalla Libia?

Se ne è pensato più fuori che dentro. I nuovi gruppi dirigenti hanno dimostrato di pensare a una Libia unita, ma che ci siano spinte centrifughe è fuori di dubbio.


La tensione verso la democrazia è indubbiamente data dalla crescita economica e culturale dei paesi. Ma c’è anche altro a giustificare questa evoluzione? Forse le congiunture internazionali e l’esempio europeo?

 Al di là di ogni dubbio, le rivolte hanno dimostrato di avere delle processualità interne. La spinta più grande è stata quella interna e di massa. Poi a forgiarla hanno contribuito anche l’esempio occidentale e il desiderio di avere accesso a quei beni che vengono percepiti come quotidiani nell’europa. In questo senso l’occidente ha avuto la sua influenza, ma le rivolte sono fatti interni. C’è un rapporto selettivo con l’occidente, basato sulla cultura propria di questi paesi, anche alla luce di un processo di islamizzazione e re-arabizzazione della società.

Angelo Panebianco ha sostenuto che la democrazia appare essere un sistema utilizzabile solo in condizioni economiche sviluppate che ne possano favorire l’applicazione. Qualora venga instaurata la democrazia ma il sistema economico non si sviluppi a sufficienza, è possibile che ritornino i regimi oppure la volontà di cambiare è sufficiente a tenere in piedi un sistema politico?

Più che chiedersi come si fa spesso fino a che punto l’islam sia compatibile con la democrazia, conviene appunto chiedersi quale livello sia effettivamente sopportabile da una democrazia. L’economia rimane un fattore indispensabile al consolidamento della democrazia, in alcuni casi anche alla nascita. A dimostrare questo sono appunto le rivolte, in paesi usciti dal socialismo arabo che ha provocato una forte sperequazione, che dal punto di vista pratico sono state fatte per l’accesso ai beni di consumo.

Da che cosa dipenderà allora la lunga durata della democrazia nel nordafrica?

Una prima cosa da constatare è che questi paesi escono nel migliore dei casi da venti anni di regime. Al di là del concetto di democrazia, occorre che si conosca il meccanismo democratico. In Tunisia, ad esempio, uno dei primi problemi dopo le rivolte era spiegare alla gente cosa fosse il voto. Lo stesso in Libia, dove dopo in tutti questi anni di Jamahiriya, il meccanismo democratico non è nel patrimonio comune delle conoscenze. La prima difficoltà è quindi quella di interndersi, di spiegarsi.

E poi?

Un secondo punto è quanto la società sia in grado di sviluppare un meccanismo virtuoso. In molti luoghi, per ora, si sta dando dimostrazione di essere in grado di creare una discussione pubblica. La Libia rimane la realtà più complicata.

Eppure il direttore del Tripoli Post, mi diceva che loro vogliono la democrazia e di fondamentalismo non vogliono sentir parlare.

Certo, la via e quella e si pensa a quello. Ma bisogna vedere quanto questa enunciazione di democrazia si traduca in un reale esercizio di democrazia.  Se si guarda agli inizi, direi che hanno iniziato malissimo.

Hanno ucciso Gheddafi.

Se quella è l’immagine della nuova Libia, l’immagine non è incoraggiante se si vuole presentare democratica. Una volta catturato avrebbe dovuto essere processato. Ma avrebbe potuto dire cose che non sarebbero state così… utili alla nuova libia.

I paesi nordafricani sono tutti a maggioranza islamica. La Sharia sarà probabilmente alla base delle costituzioni: io la vedo come un insieme dei principi poi interpretati in modo più o meno rigido.

La Sharia di per sè non è nè rigorista nè lasca. E’ la legge, la cui interpretazione può portare da una parte oppure dall’altra. L’Islam nasce pretendendo di regolamentare a tutto tondo la prospettiva di vita, quindi anche lo stato e la sua legge. Ma anche qui sia l’Islam che la Sharia hanno mostrato una grande capacità di adattament: casi come la Turchia o la Tunisia lo dimostrano bene.

Per esempio in Turchia Erdogan ha promosso una sorta di laicismo, in Arabia invece si arriva alla lapidazione delle adultere e al taglio delle mani.

Il rischio è quello che gruppi rigoristi e fondamentalisti si facciano portatori di una interpretazione dogmatica delle regole, una applicazione quasi cieca, facendosi quindi portatori di un percorso contrario a quello dell’adattamento che la Sharia nei secoli ha dimostrato. Ovviamente questo dipende dal contesto islamico di riferimento: è indubbio che paesi come l’Arabia Saudita abbiano una visione di questo tipo.

E quanto conta l’Arabia Saudita in questo momento di cambiamento?

Sicuramente ci sta provando, non è un mistero che alcune forze estremiste o rigoriste abbiano finanziato forze rigoriste o estremiste in Tunisia e in altri paesi. Sta cercando di esportare il suo modello rigorista, e in molti casi questo modello fa pendant con i rientri di tanti giovani islamici che nascono in europa, vivono in contesti sradicati, si estremizzano e tornano nel paese di origine. Ma non sarei così sicuro che paesi con una tradizione islamica così forte come quelli del nordafrica siano disposti ad assimilare passivamente degli influssi che rimangono esterni alla loro tradizione locale, anche se facenti parte del mondo islamico stesso.


Lo strato sociale che nei paesi basati sulla Sharia soffre di più sono le donne. Crede che la concezione della donna si sia evoluta o si evolverà oppure la sua parificazione all’uomo non avverrà mai, fintanto che la Sharia è alla base della legge dei paesi nordafricani
?

Guardando alla Tunisia, la transizione ha dato molto risalto alla situazione femminile: si è previsto che la metà delle liste elettorali dovessero essere femminile. Il caso tunisino allora non deve preoccupare, c’è stata una grande partecipazione femminile.

In Libia la donna nonostante la retorica di propaganda di Gheddafi, è veramente ai margini della società pubblica. Ma è difficile ricollegare tutto questo all’islam stesso: contano anche i refusi della società clanica o tribale, fortemente patriarcale e quindi maschilista.

L’Egitto invece ha una società civile molto ricca anche al femminile. Tra gli strati più poveri la donna viene emarginata, ma qui è un problema di povertà, di accesso alll’istruzione, di sensibilità sociale. Non si deve ricondurre tutto per forza all’islam.

Quindi la sua situazione si evolve con l’evoluzione della società.

Un Ulema può essere anche donna, nella storia ci sono testimonianze. C’è stato un processo di marginalizzazione della donna negli ultimi secoli, ma nella storia la donna ha avuto accesso ai livelli alti della società.

E perchè quando il mondo va in un’altra direzione queste società fanno passi indietro?

Una certa dose di responsabilità ce l’ha anche il colonialismo. La conquista coloniale, interrompendo le tensioni interne, ha teso a deprimere le forze di cambiamento in corso, e ciò corrisponde alla sconfitta dei tentativi di restrutturazione locali. Il colonialismo non è certo stata una palestra di diritti: aveva bisogno di interlocutori ben definiti, e le donne non lo furono.

Nda. La seconda parte dell’intervista sarà pubblicata tra pochi giorni qui, sul blog di Inchiostro. Non mancate.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *