Attualità

Africa e democrazia. Intervista al prof. Morone – Parte 2

 

di Giovanni Cervi Ciboldi

 

Continuiamo la pubblicazione dell’intervista al prof. Antonio Maria Morone per rispondere, in questa seconda parte, soprattutto a due domande: le “primavere arabe”, col passar delle stagioni, diverranno inverni dei diritti umani? E cosa cambierà, per l’Italia, dopo  la fine di Gheddafi?

Il fondamentalismo islamico cresce o perde terreno? E quanto potrà influenzare le nuove forme di governo nordafricane?

Distinguendo tra confessionalizzazione e fondamentalismo, è vero che agli inizi queste rivolte non hanno avuto una componente religiosa, anzi, sono nate da esigenze materiali ed economiche. Successivamente, le coimponenti connotate in senso islamico della società hano riguadagnato terreno, e nel caso della Tunisia hanno fatto proprie le rivolte. Infatti qui il voto ha dimostrato che il primo partito è un partito confessionale. Ennadha non può essere ridotto a semplice fondamentalismo: è una realtà complessa in cui convivono diverse linee e diverse interpretazioni politiche dell’Islam, quindi per ora non può essere considerato un partito fondamentalista. Occorre vedere quando la frangia fondamentalista potrà avere consenso, ma anche questo fa parte dei processi di arabizzazione e islamizzazione in corso.

Se chiedessi qual’è stato l’apporto dell’Islam dal punto di vista del “progresso” umano degli ultimi secoli, intendendo come tale il progresso storico, culturale e tecnologico, molti risponderebbero “nessuno”. Anche a me stenta a venire in mente.

Più che pensare a come il mondo islamico ha contribuito al “progresso”, che è un concetto eurocentrico, mi verrebbe dire come il mondo arabo e la cultura musulmana hanno aiutato la storia globale.

E’ una domanda appositamente faziosa.

La cultura araba, nella storia, ha inventato moltissime cose. Negli ultimi secoli, se si guarda alla lunga durata, si, è vero, c’è stato un decadimento intellettuale e culturale. Ma nemmeno ora si può dire che siano fuori dal mondo o dal progresso.

Semplificando quello che diceva Oriana Fallaci, che ha conosciuto l’Islam in prima persona, non esisterebbe un islam moderato. Può essere una estremizzazione, ma guardandolo dall’occidente a molti sembra che i suoi principi non evolvano.

Dire che l’Islam o il mondo arabo non siano la fonte dei loro cambiamenti e che questi vengano da impulsi esterni significa non riconoscere una soggettività a questa società, e questo è un refuso della cultura colonialista, o comunque orientalista.

Parliamo delle tesi di Said e dei gruppi di studio indiani.

Si, il libro che ha dato impulso a tutta la critica è stato “Orientalismo” di Edward Said.

Ma le teorie che mostrano come sia distorta la visione occidentale verso l’oriente non influiscono più di tanto sull’opinione pubblica occidentale. Non si cambia idea da un bel pò, nel vedere l’oriente come arretrato.

L’approccio è sempre autoreferenziale, anche se ad accrescere il rapporto con il mondo islamico è l’immigrazione, la quale viene però spesso strumentalizzata dal discorso pubblico. Poi è vero, la maggior parte delle tesi rimangono accademiche e non passano o passano con difficoltà. Soprattutto perchè non si conosce la complessità sociale di paesi così vicini.

Anche perché quando si globalizza tutto, le minoranze emergono e tendono a preservarsi.

Sicuramente. Ad esempio la Tunisia fino a qualche decennio fa la lingua della cultura e dell’alta società era il francese, ora si scrive in arabo e all’università si parla arabo.

Lei ha pubblicato un articolo sul sito “Linkiesta” dove sosteneva che la guerra è stato il modo peggiore di risolvere la crisi libica. Mi viene spontaneo chiederle: quali altri modi erano possibili?

La guerra deve essere sempre l’ultima delle opzioni, mentre in Libia è stata la prima. Non si è provata nemmeno una di quelle azioni last minute che l’ONU solitamente tenta per risolvere in altro modo le situazioni. Si poteva pensare di fare politica, una politica efficace. Ma l’europa ha dimostrato di spendere tante parole sul partenariato e poi…

Colonialismo.

Si, se non colonialismo, l’incapacità di usare altri strumenti. Quando era ormai chiaro che si sarebbe andati allo scontro, Gheddafi rilanciò dicendo di congelare il conflitto, chiedendo l’invio di ispettori ONU. Ma questa opzione è stata rifiutata, in primis dalla Lega Araba. L’unica organizzazione internazionale che ha sostenuto fino all’ultimo il non intervento armato è stata l’Unione Africana, anche per interessi corpporativi e interessi particolari verso la Libia di Gheddafi.

L’Italia come si è comportata?

L’Italia è un discorso a parte, proprio per il fatto di essere ex potenza coloniale l’Italia avrebbe avuto tutti i motivi e tutte le soluzioni per restarne fuori. Avrebbe potuto, davanti alla risoluzione dell’ONU, astenersi.

Ma avrebbe avuto svantaggi economici.

Non è detto. Non dico votare contro, ma quanto meno astenersi.

Come ha fatto la Germania.

L’Italia ha detto subito che avrebbe dato le basi. Poi ha detto che avrebbe fatto solo interventi di ricognizione, ma alla fine ha anche bombardato. Lo stato ha mostrato una certa leggerezza verso il suo passato coloniale, se non altro perchè con quel trattato del 2008, i libici credevano davvero a una Italia non più colonialista ma partner. Ora non so se ci credono ancora.

Davanti a un doppio trattato con la Libia e con l’ONU c’è stata titubanza. Alla fine si è scelto di stare con l’ONU.

L’Italia era in condizioni di dire che non avrebbe risolto i problemi tramite la guerra ma tramite la poilitica. Nessun altro paese aveva i legami con Gheddafi per fare forti pressioni di altra natura per smorazare la crisi e tentare altre soluzioni.

Non siamo mai stati bravi a fare la guerra.

L’Italia ha dimostrato di non avere una capacità di progettazione della politica estera.

Sembra che nel dubbio l’Italia salti sul carro dei probabili vincitori.

Oppure va dove la trascina la corrente, senza riuscire ad avere una politica estera propria. L’Europa,intesa  come Unione Europea, ha cercato un allargamento ad oriente, lasciando il mediterraneo più o meno a se stesso.

L’Italia aveva grandi interessi economici in Libia prima dello scoppio della rivoluzione. Molte aziende italiane operavano soprattutto nel settore delle infrastrutture e molte sono cresciute proprio grazie all’operato nel nordafrica. Crede che sarà possibile ritornare a una situazione come quella pre bellica oppure il lassismo italiano avrà riflessi anche in termini economici?

L’Italia ritornerà ad essere importante in Tripolitania, mentre tornerà a contare molto meno, come già poco contava, in Cirenaica. Il problema è questo: se prima il centro del potere era Tripoli, contare a Tripoli significava contare anche in Cirenaica. Se ora invece il centro del potere sarà Benghazi o si verificherà una decentralizzazione del potere., la situazione muterà. Ma la Francia la guerra l’avera pure combattuta per qualcosa: che ci sia una magigore intromissione francese va da sè.

Cosa prevede per il futuro del nordafrica? Ci sono le prerogative per una sana democrazia oppure aspettiamo e speriamo che le cose vadano come vorremmo?

Difficile prevedere. E’ difficile analizzare il presente, è impossibile analizzare il futuro. È un momento di transizione. Altro non posso rispondere.

 

Nda. Si ringraziano il prof. Antonio Maria Morone per la disponibilità e Simone Lo Giudice per l’assistenza nella ascesa alla torretta.

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