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Abbiamo bisogno di anti-abortisti in cattedra?

L’11 Febbraio si è tenuto all’Università di Pavia il convegno  “L’interruzione di gravidanza nella relazione 2021 al Parlamento”, promosso dalle associazioni FederVita Lombardia, dall’Unione giuristi cattolici di Pavia e dal Centro Aiuto alla Vita.
Di fronte a un convegno (di fatto, un monologo) antiabortista e offensivo verso i diritti delle donne organizzato nell’Ateneo, le associazioni locali (tra cui Non Una di Meno Pavia e Radio Aut) hanno manifestato il proprio dissenso: anche uno dei maggiori sindacati studenteschi, il Coordinamento per il diritto allo studio, ha apertamente manifestato contro questo convegno. Oltre a essere organizzato da gruppi anti-abortisti, l’evento ne ha pure ottenuto il patrocinio ed è stato pubblicizzato dalla Chiesa di Milano.

Non è la prima volta che l’Università pavese si fa notare per simili iniziative: qualche anno fa fece non poco scalpore la visita del senatore della Lega Simone Pillon, che a Pavia si presentò per promuovere il controverso DDL che da lui prendeva il nome e che fu salutato dalle manifestazioni e dalle proteste degli enti locali. Un evento del genere sulla tematica dell’aborto non è di certo isolato, e come nota L’Espresso – che ha segnalato a livello nazionale il convegno di venerdì scorso –  gli istituti scolastici italiani sono stati spesso vittima di attacchi e “invasioni di campo” da parte di associazioni e politiche oscurantiste.
Gli organizzatori dell’evento, come si è già detto, sono enti anti-abortisti, e gli invitati sono scelti coerentemente: Sandro Repossi è il direttore de Il Ticino, il settimanale della Diocesi di Pavia; Alberto Maria Gambino, docente universitario di diritto, è membro dei comitati scientifici della Fondazione De Gasperi, dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani e dell’organizzazione Scienza e Vita, ente cattolico che promuove un approccio piuttosto conservatore sulle questioni sociali. Ha anche scritto per Avvenire; Assunta Morresi, docente di chimica fisica, è una brillante ricercatrice, ma anche una cattolica conservatrice e curatrice di un blog di nome Strano Cristiano dove si ripropongono narrative di stampo conservatore-reazionario; Maria Pia Sacchi Mussini è vicepresidente di FederVita Lombardia (la già citata organizzazione antiabortista); Soemia Sibillo è direttrice di una delle sedi territoriali del “Movimento per la Vita”, un altro gruppo anti-abortista; Giuseppe Anzani, ex magistrato, ha criticato aspramente (sempre su Avvenire) la proposta di Macron di inserire l’aborto e i diritti riproduttivi nella Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea.

Questi ripetuti attacchi alle istituzioni dello Stato e al laicismo pubblico sembrano essere parte di una strategia coordinata, e non solo in Italia. Malgrado la retorica sul “pensiero unico” e il “politicamente corretto”, sembra che i gruppi tradizionalisti abbiano molte più risorse e coordinamento rispetto ai sostenitori del secolarismo e dei diritti delle donne: pensiamo ad esempio al caso del DDL Zan, che dopo mesi di massacro mediatico e disinformazione è stato brutalmente bloccato e ha visto addirittura l’intervento della Curia romana nella politica interna italiana, un comportamento inusuale (e che si potrebbe definire inammissibile) nei confronti di un altro Paese sovrano. La legge 104 è a sua volta costantemente sotto attacco, sia nominalmente che di fatto: in molte regioni d’Italia l’interruzione di gravidanza è funzionalmente impossibile, e in alcuni ospedali diffusi su tutto il territorio la percentuale di obiettori di coscienza è del 100%. I consultori familiari poi sono divenuti una roccaforte per gli anti-abortisti, visto che quelli pubblici sono praticamente inesistenti e quasi sempre in mano a gruppi religiosi o conservatori. L’educazione sessuale è completamente assente nel curriculum scolastico italiano e la vendita della pillola del giorno dopo risulta, oltre che estremamente difficoltosa, spesso ostacolata apertamente. L’Unione Europea ha già segnalato allarmanti influenze da parte di lobbies anti-abortiste, vere e proprie reti internazionali che in alcuni casi sono arrivati ai vertici della politica mondiale fino a fare pressioni sulle Nazioni Unite.

Il problema di convegni come quello di venerdì scorso è che ignorano completamente gli aspetti etici o quelli sanitari: fanno vera e propria disinformazione sulle spalle delle donne, che non solo si vedono negati dei diritti, ma anche demonizzate e pesantemente ostacolate dai medici obiettori in quella che dovrebbe essere una loro scelta. Il convegno, sebbene abbia tentato nominalmente di mantenersi super partes, non ha nemmeno menzionato queste cose.

Su nove membri del convegno, cinque sono esplicitamente conservatori anti-abortisti, uno è un giornalista per la Chiesa Cattolica e gli altri sono medici che si limitano a dare qualche informazione di carattere generale (ma anche qui discutibile, considerando che si trattano dettagli minori come gli effetti collaterali dell’interruzione volontaria di gravidanza, una delle tante sfaccettature del tema ma l’unico discusso). Totalmente assente un dibattito serio e costruttivo, vista l’assenza di invito di controparte. Forse i manifestanti fuori vorrebbero poter discutere, o magari effettivamente informare. Forse sono gli stessi che si lamentano di ipotetica oppressione religiosa a voler discriminare e falsificare. Ci sarebbe da chiedersi come sia accettabile che un’istituzione universitaria, una delle più antiche al mondo, possa permettere questo livello di ignoranza e oscurantismo, soprattutto perché l’evento fornisce crediti formativi, legittimando e quasi rendendo obbligatoria la partecipazione a questo discutibile simposio.

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