Pavia

I Longobardi: un popolo che cambia la storia

di Raffaella Pasciutti e Luca Carotenuto

Dal 1 settembre 2017, Pavia è tornata a essere “capitale d’Italia” con un salto all’indietro, all’epoca in cui il popolo dei Longobardi ne aveva fatto il centro del suo regno.

Nella prima delle tre tappe della mostra “I Longobardi: un popolo che cambia la storia“, il Castello Visconteo ha aperto le porte a curiosi e appassionati di storia, dimostrandosi uno spazio ideale per la tanto attesa esposizione.

Una breve parentesi storica, prima di addentrarsi nel racconto dell’iniziativa.

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, avvenuta nel 476 d.C., l’Italia era sottoposta al governo dei Goti che vennero in seguito spodestati dai Longobardi: nel 568 d.C. Con il loro arrivo, il territorio era diviso, non senza scontri, tra Longobardi e Bizantini. I primi ne dominavano la maggior parte: Langobardia Maior (Italia settentrionale, controllata dalla capitale del Regno, Ticinum, poi Papìa, oggi, Pavia) e Langobardia Minor (i Ducati di Spoleto e di Benevento). Le aree rimaste appartenevano al controllo bizantino ed erano chiamate Romània (da qui il nome dell’odierna regione Romagna), il cui fulcro era rappresentato dall’Esarcato di Ravenna. Nel frattempo Pavia diventò la capitale del Regno. Una domanda sorge spontanea, però: perché proprio Pavia?

I motivi furono differenti, tra di essi particolare rilevanza ebbe la sua posizione strategica, ossia a cavallo tra il Ticino e il Po, gli assi nord-est ed est-ovest dell’Italia settentrionale, due importanti vie di comunicazione. Inoltre, non dobbiamo dimenticarci che era una delle poche città che batteva moneta per l’Impero romano.

Proprio a Pavia, il re Rotari promulgò il cosiddetto “Editto di Rotari“: un insieme di leggi atte a regolare i rapporti tra i cittadini. Le faide vennero sostituite con risarcimenti pecuniari (guidrigildo) determinati a seconda del valore e della dignità di chi commetteva il reato e a seconda di chi lo subiva. Questa decisione è lo specchio di come la società longobarda fosse notevolmente stratificata. Particolarmente significativa la differenza di pena per l‘uxoricidio: se commesso dalla consorte verso il marito, avrebbe portato alla condanna a morte o alla lapidazione della donna; viceversa era punito con una pena pecuniaria. Spesso, siccome la somma era molto elevata, venivano attribuiti i lavori forzati.

“Gli uomini dalla lunga barba”, come vennero definiti dallo storico Paolo Diacono nella sua “Historia Langobardorum“, dominarono la penisola e lasciarono numerosi reperti, in particolare nella zona lombarda (Longobardia) e nelle aree centrali (Ducato di Spoleto e di Benevento). E proprio quei reperti, oggi, sono visitabili in prima persona, in questo periodo, in particolare, proprio dalla città prediletta da quel popolo.

Non appena si varca l’ingresso della mostra è possibile notare un’atmosfera unica e autentica: ogni angolo a disposizione è arricchito da testimonianze cartacee e scultoree, dal valore inestimabile. Con oltre 300 opere provenienti da più di 80 musei, Gian Pietro Brogiolo e Federico Marazzi hanno dato avvio all’allestimento espositivo. A rendere ancora più coinvolgente la lezione di storia, oltre all’accattivante allestimento, sono stati messi a disposizione alcuni dispositivi elettronici, come un touch screen, che forniscono in tempo reale precise informazioni sui luoghi d’epoca della città. Ottima trovata, pensata anche per comunicare la materia in modo efficace ai più giovani. Tra gioielli, armi e strumenti del vivere quotidiano è possibile notare che molto ci accomuna col passato. Un reperto che non passa di certo inosservato, sia per le dimensioni sia per l’impatto visivo, è la grande teca di vetro che contiene gli scheletri di un cavallo e di due cani, provenienti dalla necropoli di Pogliano Veronese.

Tra i materiali multimediali proposti colpisce particolarmente il filmato che illustra le vicende legate all’Abbazia di Montecassino, ricostruita interamente dopo il bombardamento della Seconda guerra mondiale. Fondamentale nella cultura longobarda era costruire luoghi di devozione, nei quali ragguardevole era la cura dei dettagli: la religione era sacra e come tale andava valorizzata.
Il tempo consigliato per la visita è di circa due ore, specialmente se si intende analizzare in maniera dettagliata le quattro sale. Per chi lo desiderasse, numerosi libri tematici sono in vendita, affiancati da una piacevole sezione dedicata ai più piccoli.

LONGOBARBARI

I Longobardi erano barbari; ma di un tipo particolare e, per alcuni tratti, quasi “civile”: nel 643 d.C. sua maestà re Rotari fece promulgare un editto che univa diritto romano e germanico in un’opera che oggi è esposta al Castello di Pavia e lì rimarrà fino al 3 dicembre. I Longobardi erano barbari ma lo erano con stile: lo confermano i numerosi strumenti di bellezza esposti nelle sale dei Musei Civici del Castello. C’è pure un pettine, ma sorge il dubbio che forse fosse usato dagli uomini per pettinarsi la barba e non ci sarebbe da stupirsi dato che parliamo del popolo dalle “lunghe barbe”. No, Paolo Diacono ci racconta che mai se le toccavano, come voleva la tradizione germanica dei figli di Odino. I Longobardi erano pagani, almeno in origine, ma pagani aperti e non integralisti. Se non ci credete andate a vedere le numerose croci che cucivano sui loro corredi. Sono le stesse croci che le signore pavesi venerano al San Michele Maggiore la domenica mattina. Ora chi glielo spiega che l’arte protocristiana cattolica è frutto dell’integrazione di due popoli? I Longobardi erano barbari, [ma di quelli che amavano gli animali e li amavano a tal punto che non se ne separavano neanche al momento della morte,] come testimoniano gli scheletri canini ed equini in mostra nelle scuderie del castello. I Longobardi erano barbari ma anche no. Certamente erano barbuti ma non sprovveduti e fecero qualcosa di così difficile che bisognerà aspettare altri 1200 anni perché capiti di nuovo: unirono l’Italia (più o meno).

Non scherziamo, non sto riabilitando i Longobardi con forzate analogie anacronistiche tra la loro storia e quella attuale, né tanto meno è mia intenzione dare inizio a un dibattito socio-politico. Per quello c’è la televisione. Ma certamente la mostra “Longobardi – Un popolo che cambia la storia” ha il merito di ripresentarci un popolo, che è anche il nostro, senza il filtro della storiografia hegeliana post-illuminista ma in maniera oggettiva. E per oggettiva intendo gli oggetti veri e propri in mostra. Il rapporto con gli oggetti e la loro osservazione ci costringe a pensare per somiglianze e analogie e a riscoprire il fascino delle nostre origini senza pregiudizi di sorta.

Per gli studenti, per gli appassionati di storia e per chi non ne ricorda molto, questo viaggio nel passato non lascia alcun visitatore indifferente. Una ventata di cultura da apprezzare fino al 3 dicembre.

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