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Intervista a Michele Serra/2

di Nicolò Carboni e Giacomo Onorati

Serra

Per quanto riguarda il giornalismo investigativo, che spazio pensa potrà avere nell’Italia di oggi?

Può fare tantissimo. Quando sento dire che non esiste più il giornalismo d’inchiesta penso non sia vero. Certo, nel casino generale e nei giornali alti così è più difficile trovarlo, però ci sono ancora ottimi giornalisti d’inchiesta, penso a Rizzo e Stella del Corriere o a Visenti, che su Repubblica ha fatto un’inchiesta straordinaria sulle regioni italiane. Ovvio, è faticoso, ci vuole tenacia per farlo e in più è costoso perché la tendenza è il “mordi e fuggi”; ci si siede davanti al computer, si fa un po’ di taglia e cuci e in poche ore si ha pronto un articolo che può quasi essere la parodia di un’inchiesta, può assomigliargli ma non è un’inchiesta. Fare giornalismo investigativo vuol dire che uno consuma le suole delle scarpe e che, con un atto di presunzione se volete, si fa testimone, dicendo “quello che conta è quello che io vedo, sento e racconto”. Questo non tramonterà mai, ci saranno sempre persone pronte a fare nuove inchieste e spero che ci saranno sempre editori disposti a pubblicare le loro storie.

Lei oggi ha fatto una rassegna stampa, visto però che magari il lettore normale ha si e no mezz’ora, quali sono i suoi consigli per leggere un giornale?

Bhe, il consiglio è uno solo: sapere che non si è mai di fronte a una rappresentazione oggettiva della realtà ma a una rappresentazione. Tu compri il criterio di giudizio di un gruppo di lavoro, di un direttore o di una direzione che quel giorno li ti dicono “guarda, secondo me così è il mondo oggi: questa è la prima pagina e via dicendo”. Ecco, sapere che giornale si sta leggendo è fondamentale, questo però non significa che tutto sia orientato sempre e solo dalla mala fede o dalla faziosità però sicuramente ogni giornale ha criteri diversi.

Ma nel pratico, lei quali articoli consiglia? Quelli più grossi, i corsivi, gli schemi, bastano i titoli?

I titoli sono spesso la parte peggiore dei giornali, anche su Repubblica. Spesso gli articoli hanno molte più qualità rispetto ai titoli, che molte volte sono solo richiami a effetto un po’ volgarotti, da “venghino signori”. Quindi fidarsi poco dei titoli e imparare, quando uno legge un giornale a poco a poco impara di quali firme fidarsi e che articoli leggere, è un percorso.

A parte Repubblica, se lei dovesse consigliare tre firme di altri giornali chi consiglierebbe?

Tre firme? Difficile…Facciamo tre giornali che è più facile. Io prenderei Repubblica perché è il giornale istituzionale di una certa parte di paese che si rispecchia nel centro sinistra. Non prenderei il Corriere della Sera perché è diventato un pesce strano…

In che senso un pesce strano?

Perché questo famoso terzismo, questa linea molto inseguita del “né da una parte né dall’altra”, in un momento come questo è scivolosa. Non so perché ma è un giornale che non leggo più con l’interesse di un tempo.

Non potrebbe essere perché da 15 anni a questa parte i direttori del Corriere succedono a se stessi?

Appunto, lo dicevo prima. Evidentemente esiste un albo professionale dei direttori. Tra l’altro è un lavoro faticosissimo, per cui sono molto contento di non far parte del novero. Poi io ho diretto un giornale di satira, per cui penso che nessun giornale serio si abbasserebbe a prendermi. Un pezzo della mia identità è un po’ giullaresca. Tornando a noi, Repubblica, la Stampa e uno a scelta fra il Giornale e Libero. Libero se si vogliono sentire gli umori di pancia della piccola borghesia settentrionale e il Giornale se si vogliono capire come funzionano i meccanismi dal punto di vista del potere governativo.

La Stampa perché?

Intanto perché è un ottimo giornale. E poi perché è sempre stato un giornale dalla barra abbastanza dritta. E’ il giornale di quello che resta della grande borghesia laica di questo paese, è il giornale di Bobbio, di Galante Garrone, di Rusconi, rispecchia un po’ quella tradizione azionista, grande borghese, di quella Torino e di quell’Italia. Il giorno che la Stampa dovesse slittare da quello che rappresenta sarebbe un pessimo segno.

Tornando a uno dei temi che hanno animato il festival, ieri si parlava con Travaglio del fenomeno Grillo e si sottolineava come la stampa si concentri più sui modi di porsi che sul contenuto effettivo delle proposte del comico genovese. Lei cosa ne pensa?

Questo è un problema generale. Travaglio, in tutta la sua carriera, ha inventato un titolo encomiabile “la scomparsa dei fatti” che indica perfettamente il problema. Il merito delle questioni sfugge quasi ovunque, pensate a cos’è il telegiornale con il panino. Il massimo del livello è “il governo ha ragione”, “no il governo ha torto”; è difficilissimo entrare nel merito delle questioni. Grillo non sfugge a questa logica e in parte ne è corresponsabile. Prima di tutto perché viene dallo spettacolo e ha conservato la potenza dello show, è sempre uno show man. Per cui finisce anche lui in questo frullatore del vaffa day, meno si sa del lavoro che ha fatto sulle fonti energetiche, meglio è, ci si concentra solo sugli epiteti. Certamente è un problema di sistema, perché se hai la possibilità di mandare dieci secondi di uno che grida “vaffanculo”, potete star sicuri che al telegiornale mandano quello. Se dieci minuti prima o dieci minuti dopo ha detto una cosa intelligente a bassa voce state pur certi che al TG non ci va. Inoltre lui ha contaminato questi due linguaggi, della satira e della politica, e ne va a scapito sia della sua forza satirica che della sua credibilità politica. Lo stesso discorso si potrebbe fare con Sabina Guzzanti, anzi, ho visto che anche Curzio Maltese, che pure è stato per tanti anni autore di Sabina, la pensa come me. Quando si sale su un pulpito per un comizio non bisogna avere la testa di un attore, sono ambiti differenti e si fa spesso confusione. Io non voglio sentire una battuta, quando Grillo dice “psiconano” a Berlusconi in un Teatro mi fa ridere, ma quando lo dice in piazza facendo un comizio avverto un corto circuito linguistico che mi da fastidio.

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