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#StopAsianHate: l’hashtag è recente, il fenomeno no

Non è solo sinofobia

È trascorso un mese dagli omicidi di Atlanta, negli Stati Uniti, dove hanno perso la vita otto donne di origine asiatica. Numerose testimonianze di violenze contro persone dai tratti somatici asiatici hanno reso evidente il problema di xenofobia presente in quello che, nonostante spesso sia così chiamato, non è “il Paese delle libertà”. In passato, forse, ci è sembrato che il sentimento di avversione verso gli stranieri riguardasse essenzialmente le persone dalla pelle più scura, al centro delle manifestazioni del movimento Black Lives Matter (BLM), nato nel 2013 in seguito all’assassinio del diciassettenne afroamericano Trayvon Martin e all’assoluzione di George Zimmerman, che gli aveva sparato. Oggi è innegabile che la paura, la “fobia”, generata dalle differenze apparenti sia molto più estesa.

Dunque nonostante diversi studi, come quello della California State University, abbiano rilevato che i crimini d’odio negli Stati Uniti siano diminuiti nel complesso, non si può evitare di far caso ai dettagli. Dallo studio citato, infatti, risulta che nel 2020 le violenze fisiche e verbali nei confronti degli asiatici siano più che raddoppiate. Il dipartimento di polizia di New York (NYPD) ha registrato un aumento dell’867%, secondo quanto dichiarato a febbraio 2021 a CBS News. Stop Aapi Hate ha ricevuto in quest’ultimo anno circa 4 mila denunce di aggressioni contro asiatici-americani. Se si considera che all’ultimo censimento del 2016 i cittadini americani con origini asiatiche erano già più di 21 milioni – con radici principalmente cinesi, filippine e indiane – questi dati sono davvero preoccupanti, perché significa che è a rischio la sicurezza di milioni di persone.

Di fatto, riassumendo anche solo gli ultimi avvenimenti resi noti alla stampa internazionale, la facilità con cui le aggressioni avvengono non può lasciarci indifferenti. In California, lo Stato in cui la concentrazione di asiatici è maggiore – più del 15% dei residenti – è stato registrato il più alto numero di segnalazioni, in particolare nella Bay Area, a San Francisco e nelle Chinatown di Oakland. Le spinte immotivate sembrano essere frequenti, anche ai danni degli anziani. Un thailandese è persino morto per la violenza con cui è stato spinto a terra durante una semplice passeggiata. La violenza continua anche a parole e a simboli, come rappresenta il gatto morto lasciato nel parcheggio della macelleria di una donna asiatico-americana. Non solo in California, però, si verificano gli abusi. Anche a New York, metropoli cosmopolita, è aumentata drasticamente la violenza su base razziale. Così, ad esempio, una donna cinese, dopo essere stata colpita, è stata data alle fiamme, e un uomo americano-filippino è stato ferito sul volto con un’arma da taglio senza motivo da uno sconosciuto in metropolitana.

Perciò, l’anno scorso a New York è stata istituita un’unità anticrimine dedicata ai crimini d’odio contro gli asiatici e il 19 Marzo 2020, dalla collaborazione dall’Asian Pacific Planning and Policy Council (A3PCON), dal Chinese for Affirmative Action (CAA) e dall’Asian American Studies Department dell’Università di San Francisco, è nato il movimento Stop Aapi Hate. Accompagnato dall’hastag #stopasianhate nella campagna di sensibilizzazione sui social, il centro antiviolenza si occupa di rispondere a tutti i casi di odio, violenza, molestia, discriminazione, bullismo non solo ai danni degli asiatico-americani e degli abitanti delle isole del Pacifico (Asian American and Pacific Islanders). Al centro del credo del movimento vi è, infatti, la convinzione che sia insensato lottare per i diritti di un solo gruppo di persone, poiché il razzismo non è un sentimento isolato.

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GETTY IMAGES/PACIFIC PRESS

Crimini d’odio

Generalmente, per trovare la soluzione a un problema, ci viene insegnato che è necessario riconoscere la causa. La storia ci insegna che, purtroppo, la xenofobia contro gli asiatici in America non è affatto una tendenza recente. Al contrario, gli americani di origine asiatica sono diventati il capro espiatorio in diversi periodi di crisi e tensione, soprattutto in relazione alle malattie. Ecco perché recenti crimini d’odio non sono une vera novità, ed ecco anche perché è importante impegnarsi per cambiare la situazione.

Dalla diffusione del COVID-19, in America e in altri Paesi del mondo, si è parlato troppo spesso di “China virus”, generando una correlazione implicita tra la cultura e il virus stesso, per via della sua presunta origine. L’enfasi su tale legame è stata esagerata da diversi esponenti di rilievo, tra cui, negli Stati Uniti, l’ex presidente Donald Trump, non famoso per la sua politica di tolleranza. Ad ora, quindi, il percorso per invertire la tendenza è ancora più impegnativo, poiché cambiare una determinata percezione è più difficile del crearla, ma non è impossibile.

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La scorrettezza dei crimini d’odio è stata ufficialmente riconosciuta dall’attuale presidente Joe Biden il 26 Gennaio 2021, data in cui ha approvato un ordine esecutivo di denuncia e condanna della violenza nei confronti degli asiatico-americani. In tutta l’America si susseguono diverse manifestazioni, nonostante la limitatezza imposta dalle regole per la sicurezza. In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale – in cui si ricorda la sparatoria contro i manifestanti sudafricani in regime apartheid – il 12 Marzo 2021, a New York hanno organizzato Running to Protest, una corsa nata con il preciso scopo di protestare contro il razzismo, cercando di coinvolgere il maggior numero di persone possibili ed acquisire visibilità su tutti i canali, per diffondere il messaggio oltre a Union Square. Le condizioni non sono favorevoli e non lo saranno finché la minaccia del coronavirus sarà forte, ma siamo nell’era dell’informazione, perciò abbiamo a disposizione tutti gli strumenti per creare un’eco di dissenso.

(Foto in copertina via AP/Damian Dovarganes)

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