Attualità

Agire solo per giustizia. Incontro con Raffaele Cantone

di Matteo Miglietta

 

Diciamolo chiaro e tondo: non sono le grandi inchieste sulla malavita a interessare davvero. A noi piacciono la politica, le vallette, la televisione…e gli scandali che le riguardano.

Per provare questa teoria basta una domanda: quanti di noi conoscono Raffaele Cantone?

Nonostante il magistrato Cantone abbia all’attivo ormai due libri, numerosi articoli su vari giornali e diverse apparizioni televisive; il suo carattere disponibile, il suo tono di voce pacato e la sua faccia pulita continuano a  renderlo un perfetto sconosciuto per la maggior parte degli italiani. Il “dott.” Cantone (come lo chiamano i colleghi), ha i capelli corti e brizzolati, occhiali dalla montatura sottilissima, e un curriculum nella DDA di Napoli che dovrebbe averlo già fatto diventare un eroe nazionale. Pavia l’aveva già incontrato un paio di anni fa, ma il 5 ottobre scorso Cantone ha concesso il bis, invitato sempre dai ragazzi dell’UDU e dell’Osservatorio Antimafie, e stimolato dalle domande di Paolo Biondani, giornalista de “l’Espresso”. Ne è scaturita una conferenza fiume, continuamente nutrita dalle domande del pubblico curioso che, tristemente toccato dalle vicende ‘ndranghetistiche locali, ha cercato di capire come difendersi dalla piovra del malaffare. “Non è vero che c’è la società buona che lotta le mafie cattive -ha subito chiarito Cantone- c’è un rapporto strettissimo fra le organizzazioni criminali e la società civile. Prima si pensava che l’imprenditore di turno fosse solo una vittima, ora abbiamo capito che molte volte c’è un rapporto di parità con le mafie, concepite come una sorta di società di servizio in grado di risolvere i problemi quotidiani dell’imprenditore stesso”. “La mafia, che lo vogliamo o no, è un organizzazione centrale nella vita italiana, tanto da avere avuto un ruolo storico importante durante l’unificazione del Regno. Così come ha fatto la sua parte nel 1943, dopo lo sbarco americano in Sicilia. Insomma le mafie sono state a lungo, e sono ancora, uno strumento di mantenimento del consenso e del potere, e se non esistesse uno strettissimo rapporto fra loro e la società civile, non sarebbe stata possibile la loro sopravvivenza per oltre un secolo”.

Si tratta dello stesso principio che spinge le organizzazioni criminali a occuparsi della sanità, campo in cui la stessa Pavia ha avuto modo di verificare la loro silente presenza. “Possiamo fare a meno quasi di tutto -ha continuato Cantone- ma non dei rapporti con la sanità”, è un mercato dove la domanda non mancherà mai, usato dalle mafie per garantire una visita in tempi rapidi, o una certificazione particolare,… piccoli favori che insinuano il tarlo del consenso nella gente comune.

 

Finita la conferenza, e passata la fila di persone che chiedono al “dottore” una dedica sul proprio libro, riesco ad avvicinarlo per fargli un paio di domande.

 

Negli scorsi mesi il PD e la società civile la corteggiarono a lungo per convincerla a candidarsi come sindaco a Napoli. Lei alla fine non accettò ma venne comunque eletto un magistrato, Luigi De Magistris. Anche a Palermo si sta parlando della possibile candidatura di un magistrato antimafia. Insomma sembra che tutti si aspettino molto da voi, anche a livello politico. Lei cosa ne pensa?

 

Io credo che questo sia soprattutto conseguenza di una profonda crisi. La magistratura, pur avendo perso un minimo di credibilità, l’ha mantenuta in misura molto maggiore rispetto ad altre categorie e questo fa si che si guardi ai magistrati come depositari di una capacità salvifica. Va detto che la cosa può essere preoccupante, perché non è automatico che uno che sa fare il magistrato sa fare anche il politico. Detto questo, io credo che in Parlamento, nei consigli regionali,… ci sia la necessità di presenze variegate, e fra queste sono compresi anche i magistrati. Ovviamente andrebbe regolato il problema del ritorno alla magistratura: chi sceglie di fare politica non può più tornare a fare il magistrato.

 

Come si fa a continuare a fare il proprio lavoro quando a volte sono le persone comuni, non i malavitosi, ad avercela con voi? Nel suo primo libro ho letto di persone che si lamentavano per l’arresto di alcuni membri del clan dei casalesi. È stata addirittura promossa una raccolta di firme per farla traslocare dal suo paese, Giuliano.

 

Guardi devo dire che questo è solo uno degli aspetti da considerare. Il magistrato non deve per forza cercare il consenso, quello è un meccanismo legato alla politica. Un magistrato deve applicare le leggi senza se e senza ma.

Episodi come questi fanno riflettere perché se delle persone comuni pensano che alcuni boss facciano meglio dello Stato, significa che lo Stato non è efficiente. È uno stimolo a fare meglio. Poi io credo che in certe scelte conti molto la dignità individuale: se uno ha la dignità di non piegarsi a certe cose, resistere ad attacchi come questi viene molto più facile. Però non voglio negare che alcuni meccanismi dal punto di vista ambientale rischiano di essere condizionanti per la tua vita privata, ma è chiaro che questo non può essere un alibi per non fare il proprio lavoro.

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