Attualità

Chi non ha paura muore una volta sola

di Andrea Gobbato

 

Vent’anni fa, lungo l’autostrada che porta da Palermo a Mazzara del Vallo, una cupa nube nera offuscava il caldo sole siciliano levandosi lentamente verso il cielo dallo svincolo di Capaci. Quella nube densa e puzzolente era un presagio, un presagio di morte: segnava il punto dove i 500 chilogrammi di tritolo, posizionati anzitempo dagli affiliati di Cosa Nostra all’interno di un cunicolo scavato sotto la A29, avevano squarciato l’asfalto con un boato assordante, togliendo la vita al giudice Giovanni Falcone, ormai prossimo a ricevere la nomina di “Superprocuratore” Antimafia, a sua moglie Francesca Morviglio e ai tre agenti della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Totò Riina, il Capo dei Capi, inaugurava con questo terribile attentato la fase stragista della mafia, fase che sarebbe costata anche la vita a Paolo Borsellino, il più stretto collaboratore di Falcone, e che si sarebbe conclusa solo con la cattura del boss avvenuta poi l’anno seguente.

Le bombe di Capaci e di via d’Amelio, accolte con selvagge urla di giubilo dai detenuti dell’Ucciardone, scossero profondamente l’opinione pubblica. Era la prima volta che la mafia ricorreva a simili mezzi per annientare i propri avversari: Cosa Nostra dichiarava apertamente guerra allo Stato, quello stato con cui invece “dovevano andare a braccetto per fare i piccioli”, come dicevano i mafiosi della vecchia guardia. Una sfida che lo Stato, ma soprattutto l’opinione pubblica, accolse a muso duro: lo sdegno della popolazione e la lotta alla mafia si intensificarono ulteriormente attorno al ricordo dei due magistrati, dimostrando che le loro idee, nonostante il tritolo, erano ancora vive e vegete. Aumentò considerevolmente pure il numero dei pentiti, scioccati a loro volta dalla sete di sangue di Riina che ormai sembrava non conoscere più limiti.

Il processo per la strage di Capaci si concluse nel 2002, con una condanna a 22 ergastoli per altrettanti mafiosi ritenuti responsabili dell’attentato, tra cui molti nomi noti della mafia siciliana: Benedetto Santapaola, Salvatore Buscemi, Giuseppe Madonia e Giovanni Brusca, capo mandamento di San Giuseppe Jato e persona che premette fisicamente il pulsante che segnò il destino del giudice. Ultimamente alcuni pentiti hanno fatto nuove rivelazioni che gettano una nuova luce sulla vicenda, facendo il nome dei servizi segreti. Ancora una volta nella storia del Belpaese si torna a parlare di servizi segreti deviati.

La Storia sembra infatti non insegnarci mai niente: solo quattro giorni fa lo scoppio di una bomba a Brindisi nei pressi di una scuola intitolata proprio a Falcone e a sua moglie è costata la vita ad una studentessa sedicenne, Melissa Bassi. Oggi a Palermo, in occasione del ricordo del ventennale di Capaci, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Premier Mario Monti hanno parlato di un possibile ritorno dello stragismo. Noi dobbiamo far capire a queste persone, chiunque esse siano, che non ci fanno paura. Non ci fermeranno, nonostante facciano del loro peggio. Tutti dobbiamo morire prima o poi, è solo una questione di come e di quando. Ma chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola.

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