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Poesia – dagli automi alle capre

Un itinerario attraverso Montale con l’aiuto non desiderato di Landolfi

Addii, fischi nel buio, cenni, tosse
e sportelli abbassati. È l’ora. Forse
gli automi hanno ragione. Come appaiono
dai corridoi, murati!

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– Presti anche tu alla fioca
litania del tuo rapido quest’orrida
e fedele cadenza di carioca? –

L’ellissi strofica al mezzo ci dice cosa? Un saluto? Di chi? Dell’«altra Laura» dei Mottetti, donna celeste, salvazione del poeta e dell’uomo. Ebbene, siamo all’interno delle Occasioni (1939), opera seconda di Eugenio Montale. Già il titolo ci ricorda che è taciuta «l’occasione-spinta» (Intenzioni), un processo che assimila la poesia a un frutto: «un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarli, o meglio senza spiattellarli» (Ibid). E a seguire tutto il discorso pienamente liceale e oltre sul correlativo oggettivo, che dir si voglia. Deduciamo il saluto dalla situazione, dalla fonte e dall’allocuzione finale, una richiesta di complicità: anche tu, madonna, senti la danza brasiliana? Ad ogni modo: Clizia-Irma Brandeis (senhal-persona reale, una dantista incontrata durante il soggiorno fiorentino) che saluta un po’ alla Carducci un Montale assediato dalla sua assenza-presenza (come ogni innamorato…). Gli automi sono tutti gli altri, coloro che «murati» ignorano il potere salvifico della donna. Già in Ti libero la fronte dai ghiaccioli, vetta dei Mottetti e unico punto della diegesi in cui Montale allude a un contatto (se pur minimo) fisico con l’amata:

Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.

Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole
freddoloso; e l’altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.

Le penne vivificano l’immagine a tal punto che vediamo un serafino, non una donna, epperò ferito per aver attraversato il cielo. Gli automi qui sono le «altre ombre» perché ignorano la presenza della donna (che in Montale equivale alla sua azione salvifica). La grandezza dell’immagine concreta, la fronte, non è semplicemente per via semantica ma biografica. Ancora, facendo però un’incursione ne La bufera e altro, precisamente nella prima sezione, Finisterre, pubblicate in Svizzera durante la guerra (La frangia dei capelli… vv. 1-4):

La frangia dei capelli che ti vela
la fronte puerile, tu distrarla
con la mano non devi. Anch’essa parla
di te, sulla mia strada è tutto il cielo […].

imagesPotremmo inferire che Irma Brandeis “indossasse” una frangia, che facesse insomma parte del suo look. Ed è così, si guardi la foto (sulla destra). Ancora è angelo in volo per salvare non più Montale ma l’uomo dalla guerra (Ibid., vv. 7-9): «L’ala onde tu vai / […] / tra le guerre dei nati-morti». Da Intenzioni (o Intervista immaginaria, 1946):

Ho completato il mio lavoro con le poesia di Finisterre che rappresentano la mia esperienza, diciamo così, petrarchesca. Ho proiettato la Selvaggia o la Mandetta o la Delia (la chiami come vuole) dei Mottetti sullo sfondo di una guerra cosmica e terrestre, senza scopo e senza ragione, e mi sono affidato a lei, donna o nube, angelo o procellaria. Si tratta di poche poesie, nate nell’incubo degli anni ’40-42, forse le più libere che io abbia mai scritte.

Montale si affida a Clizia – oramai non più Irma ma una sintesi letteraria, nuova – per sopravvivere alla guerra dei nati-morti. Uno slittamento: perché parlo di Tommaso Landolfi nel sottotitolo? In Notizie & Consigli, poesia inviata a Bobi Bazlen nel 1938, Montale scrive (vv. 13-16):

Entra in Geltrude
il membro rude
del tuo nemico
Thomas di Pico.

A parte l’eros prosaico a cui siamo poco abituati parlando di Montale. Thomas è Tommaso, Pico è Pico Farnese, borgo in provincia di Frosinone. Landolfi vi nacque da privilegiato nobile meridionale (e qui ospitò diverse volte Montale). Campagna solitaria di proprietà terriere, penso io ambientazione per lo meno di una metà dei suoi romanzi e racconti. 4405b46868e47b3f3b54c943a2352296_w600_h_mw_mh_cs_cx_cySu tutti, La pietra lunare (1939 – si pensi alla coincidenza temporale), narrazione a dir poco orfica su un uomo (uno scrittore) che tornato a casa, in campagna, scopre l’esistenza di una ragazza-capra e se ne innamora. La donna (anch’essa mezzana, ma antiteticamente a Clizia, come dire: la prima verso il basso, l’altra verso l’alto) è un passpartout per il notturno, governato da misticismo e sani violenza ed eros. Romanzo dalla lingua difficile, arcaica. Comunque, nelle Occasioni, in quasi-explicit troviamo l’Elegia di Pico Farnese, poesia che prende spunto da uno dei pellegrinaggi oramai tradizionali verso il santuario di Monte Leucio. Una figura di donna-angelo ammonisce il culto superstizioso delle donne-barbute (vv. 35-41):

[…] Ben altro
è l’Amore – e fra gli alberi balena col tuo cruccio
e la tua frangia d’ali, messaggera accigliata!
Se urgi fino al midollo i diòsperi e nell’acque
specchi il piumaggio della tua fronte senza errore
o distruggi le nere cantafavole e vegli
al trapasso dei pochi tra l’orde di uomini-capre.

Qui addirittura la «frangia d’ali»! L’elemento caratterizzante ormai è simbolo. Clizia veglia il trapasso, il passaggio di pochi uomini, tra cui il poeta (verso dove?), scelti in mezzo a tantissimi automi, orde di «uomini-capre».

Niente più da dire, un solo itinerario attraverso Montale e col grimaldello di Landolfi. Per chiudere in realtà a ritroso, fino a Forse un mattino (degli Ossi di seppia). Chi sono i “pochi”? Coloro che non si voltano:

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Perchè in realtà Montale rimarrà sempre l’io lirico di Forse un mattino.

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