Attualità

Un’Italia che ha vinto

di Pierpaolo Farina

 

Nei giorni scorsi abbiamo assistito alla fine politica di un uomo che ha influenzato (e continua a farlo) ogni aspetto della vita associata di questo Paese. Ho appena 19 anni, appartengo a quella generazione che ha assistito impassibile al lungo monologo di Silvio Berlusconi. Per qualche periodo mi sono anche illuso che fosse veramente il leader che l’Italia meritava di avere (un pò per ingenuità, un pò perchè il panorama politico italiano non sembrava offrire alternative). Sta di fatto che la mia generazione ha malauguratamente preso troppa confidenza con quel nome, è stata letteralmente travolta dall’onda del berlusconismo. Quando si parla di “berlusconismo” dovremmo stare attenti. Gran parte del suo significato esula dal mondo della politica e investe innumerevoli settori della nostra società. Il suo è stato un ventennio che ci ha visti passare dall’evoluzione all’involuzione. Non è per niente semplice rendersi conto che basta una generazione per rivoluzionare il mondo, quando un solo uomo è riuscito a fare tutto il contrario. Non intendo prestare minimamente attenzione a chi riconosce a Berlusconi il merito di aver fatto progredire economicamente il nostro Paese. Sono il primo ad ammetterlo ma credo che questo non sia tutto. Sono solito chiedermi: a che prezzo è stato fatto tutto ciò? A prezzo dell’imbarbarimento morale che ha investito l’intera politica, a prezzo dell’omologazione culturale che attraverso le sue “reti gratuite” ha cercato di imporre, a prezzo della democrazia che più volte è stata ignobilmente calpestata. In un suo celebre discorso del 1946 Alcide De Gasperi disse: “E’ inutile compiere grandi sforzi economici se ci si dimentica di coltivare un popolo nella sua morale”. E aveva ragione. Le sue parole risuonano oggi come un monito. E non mi pare che De Gasperi fosse un pericoloso comunista da debellare. Non dobbiamo stupirci se molti italiani si sono dimenticati che c’è stato un Alcide De Gasperi, un Sandro Pertini, un Enrico Berlinguer, un Giorgio Almirante e un Aldo Moro. Uomini che, al di là delle contrapposizioni ideologiche, favorirono la diffusione di un’Italia pulita, onesta e coraggiosa. Anzi, il nome di De Gasperi forse qualcuno se lo ricorderà perchè in diverse occasioni il nostro ex premier si è paragonato a lui. Una somiglianza che si basa sul nulla. Sarebbe il caso di lasciar riposare in pace chi per levatura morale e capacità politica è stato di gran lunga superiore. Sono stati anni che hanno condannato a morte le passioni più genuine, plasmando generazioni (la mia compresa) da reality show, quiz a premi e pettegolezzi futili. Non voglio nemmeno essere così pessimista. Non me la sento. So che all’interno di queste generazioni c’è anche chi ha strenuamente resistito, chi ha continuato a lottare nonostante fossero cambiati i parametri “culturali” di riferimento. Sono sicuro che molti hanno continuato ad amare la musica di De Andrè, la letteratura e i film di Pasolini. Sono persone che in questi diciassette anni non sono state valorizzate in alcun modo. Sono quelle persone che quando potevano guardavano Il Fatto di Enzo Biagi (prima che venisse tolto di mezzo con l’editto bulgaro). Quelle stesse persone che leggevano il Giornale di Indro Montanelli prima che diventasse un quotidiano di partito, quelle stesse persone che più volte sono state tacciate di ignoranza e disinformazione solo perchè non accettavano come dogma indiscutibile ciò che veniva fuori dai canali ufficiali di informazione. Sono tutte persone meravigliose che fanno del loro meglio per trovare un posto in questo Paese che li ha abbandonati, perché – ahimé – non hanno mai desiderato partecipare a Uomini e Donne. Essere figli del berlusconismo vuol dire questo. Vuol dire anche essere considerati anti-patriottici per aver festeggiato la fine di quest’epoca. Subito son piovute le critiche dei politicanti professionisti, quelli che dovrebbero studiare l’etimologia della parola “politica”, quelli che al trasformismo di Depretis ci si sono un pò troppo affezionati. Se il nostro Paese s’indigna ha dei buoni motivi per farlo. Da circa 3 anni anch’io ho aperto gli occhi e vado orgoglioso di questa crescita interiore che mi ha visto protagonista. E’ stata una sorta di illuminazione che mi ha portato ad apprezzare il pensiero libero, la partecipazione attiva, il desiderio di una politica diversa. Perché se c’è stato un Berlusconi, c’è stata anche un’Italia, se pur piccola che nel suo piccolo ha sempre combattuto. Come dimenticare le autogestioni nel mio liceo Asproni di Nuoro, le manifestazioni contro il bavaglio all’informazione, il trionfo del referendum sul nucleare e la privatizzazione dell’acqua, la cultura che si è opposta alla televisione del commercio, Report e la Gabanelli, Annozero e Travaglio. Ricorderò tutto questo. Preferisco dimenticare il resto. Conosco persone che dedicano la fine di questi anni bui a nonni e parenti che non ci sono più e che speravano solamente di vederne la fine prima di passare a miglior vita. Anch’io ho pensato ad alcuni miei parenti che hanno conosciuto le atrocità della guerra, quella in cui i fascisti ammazzavano senza pietà gli oppositori del regime. Questi trovavano sempre più somiglianze con quell’oscuro passato dalle cui ceneri è nata la democrazia.
Abbiamo tutto il diritto di festeggiare, anche se per qualche giorno, perchè non abbiamo permesso che tutto ciò continuasse a dilagare. Siamo noi l’Italia più vera perchè nonostante tutto ci riconosciamo ancora in degli ideali sinceri, abbiamo dei genitori che lavorano onestamente per mandare avanti una famiglia e vivere senza rinunciare a uno degli ideali più belli: quello della dignità. Quest’Italia esiste, io l’ho vista e solo ora esce allo scoperto.

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