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“Danza macabra” o Danza di morte

Martedì 13, Mercoledì 14 e Giovedì 15 marzo è andato in scena presso il Teatro Fraschini di Pavia lo spettacolo Danza macabra, scritto nell’anno 1900, in una sola settimana, da uno degli autori a cavallo tra i due secoli che meglio hanno saputo mettere in scena l’inquietudine e la nevrosi che avrebbero abitato il cosiddetto “secolo breve”: August Strindberg.

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La vicenda ha luogo in un non meglio definito sottomarino, dove vive la coppia di protagonisti, Edgar e Alice, due coniugi alla soglia dei venticinque anni di vita matrimoniale (interpretati da Adriana Asti e Giorgio Ferrara, coniugi anche nella “vita vera”). Dopo dieci anni torna a visitarli Kurt (Giovanni Crippa), colui che li fece incontrare e combinò il matrimonio. Invece che accingersi a festeggiare la ricorrenza insieme al loro più valente testimone di nozze, la coppia vive l’arrivo del terzo come uno scardinamento della loro logorante routine, scoprendosi a poco a poco nei propri fallimenti ed addossando questi ultimi all’altro: Edgar, militare a capo della guarnigione dell’isola dove vivono, non è mai riuscito a raggiungere il grado di Maggiore; Alice, per amore, ha rinunciato ad una promettente carriera di attrice. Entrambi, su comune ammissione, ritengono la propria vita matrimoniale inconsistente e condita di puro squallore. Kurt quindi, o meglio il suo arrivo, non è altro che il pretesto per scatenare una violenta guerra “coniugicida”, fatta di accuse, minacce, menzogne. Solo la partenza del comune amico farà tornare l’equilibrio nella coppia, che però non vive un’evoluzione positiva, ma ripiomba esattamente, per mezzo di una implicita tecnica narrativa tipica delle più classiche Ringkomposition, nella bassezza iniziale, dove per andare avanti non c’è da far altro se non «Cancellare, e andare oltre!». La ricomposizione dell’equilibrio, pur seguendo le regole della narrativa classica, da questa si distacca per il profondo tono negativo che la contraddistingue: non c’è speranza di felicità all’interno delle gabbie familiari, secondo Strindberg. Di più: l’unico modo per portare avanti tranquillamente un rapporto altro non è se non quello di tentare il più possibile di annientare l’altro; «Cancellare» appunto. Per andare avanti, lentamente, fino alla cancellazione finale, proprio attraverso una lenta e logorante Danza di morte. È proprio un’aria di morte quella che trasuda non solo dal testo, ma da ogni singolo centimetro della scena. L’allestimento infatti, una delle ultime regie firmate da Luca Ronconi, è testimone di tutta la carica grottesca che contraddistingue la regia: la recitazione, adagiandosi alle scenografie, trasuda impeccabile espressionismo; l’assenza pressoché assoluta di suoni prolunga il profondo buio dello sfondo scenico.

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Opera gotica che nelle mani di Ronconi non può che esprimersi all’ennesima potenza, Danza macabra affresca in maniera eccellente le paure e gli spettri protagonisti del periodo di passaggio in cui viene scritta, proiettando lo spettatore dentro ai propri fantasmi storici e personali, in un continuo gioco pericoloso tra il dentro e il fuori del male umano.

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