Attualità

Due pomeriggi a Cascina Rossago

C’è nebbia. Non di quella fittissima e neanche per tutto il tragitto ma ce n’è abbastanza da costringerci a rallentare ogni tanto. Quando la luce schiarisce la strada, parlare viene più facile, più spontaneo e ci si incontra confrontando le rispettive differenze con produttiva curiosità. Cosa potranno mai dirsi uno studente di filosofia e degli specializzandi di neuropsichiatria? Molto in realtà poiché entrambi trattano della mente, seppur con linguaggi e interessi diversi. Si parla di metodi, di ricerca e di autismo sulla strada per Cascina Rossago, una farm community nella quale soggetti nello spettro autistico possono sviluppare le competenze necessarie per una relativa autosufficienza.  “Noi improvvisiamo il più delle volte, e il risultato non è sempre perfetto. Ma devo dire che col tempo e con la pratica abbiamo prodotto delle esecuzioni più che buone e abbiamo anche inciso dei CD.” Così Matteo mi parla dell’“Orchestra Invisibile”, un progetto nato nel 2005 per far incontrare l’autismo con la musica. Orchestra “invisibile” perché a causa della visibilità sul palco, alcuni componenti del gruppo potrebbero soffrirne o essere a disagio. E allora invisibile sia questa Orchestra composta da Elisa, Andrea, Cristiano, Tiziano, Simona e molti altri che ogni venerdì dalle 15 alle 16 si incontrano in cascina assieme a dei volontari per suonare musica Jazz e Blues.

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Avevo letto di questa realtà diversi anni addietro, dei loro progetti e delle loro iniziative ma solo andandoci di persona ho potuto comprendere quanto ancora abbiamo da imparare sul concetto stesso di “comprensione”. Cascina Rossago si trova a Ponte Nizza immersa tra i boschi delle colline dell’Oltrepò pavese. Dopo esserci arrampicati con la macchina su una rispettabile salita arriviamo alla cascina o meglio, all’edificio adibito a ospitare, assieme agli operatori che li seguono, i componenti della banda. Si sale al primo piano e poco dopo entrano i vari membri, alcuni in gruppo, altri da soli, altri ancora accompagnati. Dopo aver preso posto inizia il concerto, una versione arrangiata de “Lo stretto indispensabile”. Al centro gli specializzandi di psichiatria suonano il trombone e la chitarra assieme a Simona che suona il tamburello. “Ma non ci sono solo specializzandi di Psichiatria” – mi precisa Stefano – “non pochi sono volontari che vengono da fuori solo per il gusto di suonare o per vedere da vicino una realtà nuova”. Sono circondato più che altro da percussionisti, immagino per la relativa semplicità dello strumento o per via del suo effetto catartico, specialmente per chi non riesce a esprimere a parole quello che ha dentro. Sia quel che sia, l’esecuzione procede bene per gli abbondanti sette minuti successivi. Di norma si alternano esecuzioni più lunghe a jam session più brevi e sperimentali. Ed è durante uno di questi arrangiamenti che realizzo che Simona, la quale fino a qualche minuto prima agitava il suo tamburello, ha preso il posto del Prof. Politi al pianoforte. La sua è una melodia semplice e poco articolata eppure eseguita magnificamente. E ancora lo xilofonista che prova una melodia più dolce e armonica approfittando dello stacco generale, mentre un ragazzo ai bonghi, forse intrigato dal suono di una chitarra, prova a inserirsi battendo a tempo i suoi strumenti.

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Più tardi arriva “Tizi” accompagnato da un’operatrice che lo invita a prendere posto. Ma lui non vuole, dice di essere stanco, che ha sonno e che questa è “l’ora di dormire”. L’Orchestra Invisibile è anche questo del resto: uno spazio di dissonanza, di disaccordo, di incontro ma anche scontro. In un mondo dove l’autismo è anche a volte un’etichetta che con troppa fretta omologa un anomalo silenzio, qui l’autistico si scopre in tutta la sua individualità mentre con la musica si scoprono nuovi modi di comunicare. Loro la chiamano “cura costante della soggettività”. Chiedo informazioni su come funzioni la formazione in cascina, chi insegna a suonare a chi e come. Ognuno ha una parte nel progetto ma la risposta che mi lascia più spiazzato è certamente quella di Politi che con stoica quiete mi risponde “di solito siamo noi a imparare da loro”. Difficile non bollare questo genere di risposte come una sorta di “zen new age” ma ancora una volta vengo smentito dalla esecuzione pratica della musica. Quando infatti Simona arriva al pianoforte, gli altri ragazzi abbassano il volume dei propri strumenti, ne assaporano il suono e ripartono mettendosi in scia con la sua suonata. A Cascina Rossago si impara anche ad ascoltare nel senso più democratico possibile; non per rispondere ma per capire. Certo non tutti hanno sempre qualcosa da dire e sarebbe oltremodo favolistico affermare che la musica riesca a far parlare tutti gli ospiti nello spettro autistico. Eppure nell’attività di gruppo, nel fare musica assieme si assiste a qualcosa che nella sua semplicità ha dell’incredibile: la individuazione. E non si parla solo degli autistici ma di tutti coloro che fanno parte del gruppo. Nell’uso che i ragazzi fanno del proprio strumento musicale, in questo rapporto soggetto-oggetto ci sono le coordinate della dignità personale che definiscono il proprio io e lo espandono. Il “saper fare” è motivo di orgoglio per questi ragazzi ed è una scoperta continua che va oltre la pedagogia o la riabilitazione e che ha il suo senso nel “fare insieme”. E ancora una volta non sto parlando solo degli autistici.

Cascina Rossago è un posto dove si impara a diventare adulti, a sviluppare quelle abilità fondamentali e quelle competenze relazionali che sono motivo (giustamente) di preoccupazione per quei genitori e quelle famiglie che hanno a cuore il cosiddetto “dopodinoi”. A Cascina Rossago non ci sono risposte, almeno non risolutive a una così delicata questione. Eppure avvicinandosi un po’ anche ai ragazzi dell’Orchestra Invisibile si scorge qualcosa oltre il buio. Si scorge una realtà possibile dove le diagnosi fanno spazio alle comunicazioni (magari in musica). Ho passato due pomeriggi alla Cascina. Due pomeriggi dove ho scorto parte del sentiero di scoperta dell’io degli individui neurodiversi. Certo, c’è ancora molta nebbia. Non di quella fittissima e neanche per tutto il sentiero ma ce n’è abbastanza da costringerci a rallentare ogni tanto. Eppure quando la luce schiarisce la strada, parlare viene più facile, più spontaneo e ci si incontra confrontando le rispettive differenze con produttiva curiosità.

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