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Atypical: guida alla visione per gente normale

Oggi sono felice perché ho imparato una parola nuova: dramedy. Incontro di due generi televisivi diversi, drama e comedy, la dramedy non è mai abbastanza divertente da risultare leggera, né sufficientemente tragica da essere catartica, ma mantiene in equilibrio l’attenzione dello spettatore fra la spensieratezza e l’apprensione, senza mai sbilanciarsi da una parte o dall’altra. Basterebbe anche solo questo per riassumere Atypical, nuovo prodotto originale Netflix approdato sulla piattaforma questo mese. La serie, partorita dalla mente di Robia Rashid, consta di 8 episodi della durata media di quaranta minuti ciascuno. Lo suggerisce il titolo stesso, un prodotto atipico, non tanto per il format ma per la tematica trattata, ovvero l’autismo. Sono questioni che per fortuna stanno sempre più coraggiosamente trovando spazio anche nella cultura popolare e mainstream degli ultimi anni, a volte come biopic (Temple Grandin – Una donna straordinaria, Mick Jackson 2010) o come macchiette comunque mai banali e di indubbio carisma (Sheldon Cooper di The Big Bang Theory). Atypical non è niente di tutto questo. La sua novità consiste atypical-1nel rendere familiare ai più gli aspetti meno trattati della sindrome autistica, ovvero non tanto le idiosincrasie, le stereotipie, le stranezze sintattiche e relazionali ma le ripercussioni su una famiglia normale che affronta il problema ogni giorno.

Prima però di gettarsi a capofitto negli otto scorrevolissimi episodi, è bene che coloro che non hanno neanche una idea minima degli argomenti trattati familiarizzino con alcuni topoi tipici dell’autismo. Non temete, non si tratta di tecnicismi da DSM, ma giusto di alcuni accorgimenti e dritte concettuali che speriamo possano rendere più agevole ai profani la comprensione di alcune dinamiche familiari e relazionali.

 

Prima di tutto, sappiate che la serie affronta sì un argomento complesso come quello dell’autismo, ma, adottando il format di una serie TV e in particolare delle serie Netflix, si ha subito modo di entrare nel contesto di riferimento, quello di una tipica famiglia americana della middle-class. Sam (Keir Gilchrist) è un ragazzo autistico, al centro delle vicende, ed è sua la voce narrante che fa da tramite fra gli avvenimenti quotidiani e i suoi comportamenti sostitutiviovvero quelle stereotipie apparentemente inspiegabili che fungono da metabolizzanti emotivi. Ho detto «personaggio al centro», ma non protagonista. La protagonista è la vicenda stessa, multi sfaccettata nelle individualità mutilate dei vari membri della famiglia. Mutilate proprio a causa di quel figlioatypical-netflix-premiere-date-video-keir-gilchrist strano che è Sam e che necessita di molte più attenzioni del normale. Ma quelle personalità individuali, buttate fuori dalla porta, rientreranno presto e prepotentemente dalla finestra. Ecco allora che la madre, Elsa (Jennifer Jason Leigh qui anche in veste di produttrice), riscopre gli anni perduti della sua giovinezza, mentre la figlia minore, Casey (una eccezionale Brigette Lundy-Paine), è divisa tra la propria carriera scolastica, un nuovo amore e la custodia del fratello. In tutto questo, il padre, Doug (Michael Rapaport), instaura per la prima volta un legame efficace con il figlio problematico, per poi confrontarsi con questioni spinose come l’amore e la sessualità nella disabilità. Questioni, queste ultime, sollevate dalla terapeuta di Sam, Julia Sasaki (Amy Okuda): è grazie a lei che lo spettatore medio può essere iniziato a termini astrusi come neurodiversità e neurotipicità, due concetti coniati dalla sociologa australiana asperger Judy Singer verso la fine degli anni 90. Col primo si vogliono descrivere e integrare tutte quelle “patologie” come l’autismo, la sindrome di Tourette, la dislessia e altre ancora con lo stesso criterio di concetti come la biodiversità; col secondo, invece, si indica la condizione di tutti quegli individui ai quali non è stata diagnosticata o riconosciuta alcuna neurodiversità; per intenderci680922C74A7-C275-32E9-B720DB85A892BACA la gente normale. Neurotipico per esempio è Zahid (Nik Dodani), il migliore amico di Sam e vera e propria spalla comica della serie. Diversamente neurotipica è Paige (una luminosissima Jenna Boyd), che per Sam sarà molte cose ma di certo non una presenza “normale”. Troppo neurotipiche invece sono le mamme del gruppo di sostegno, in America una realtà di ascolto e condivisione molto diffusa tra le famiglie con problemi. In particolare, il personaggio interpretato da Wendy Braun riflette bene quell’atteggiamento tipicamente anglosassone di ipocrita sensibilità verso qualunque tipo di minoranza.

Troppe stranezze per una serie sola? Niente paura. Come dicevamo Atypical ha anche i tratti (neuro)tipici del drama e in particolare della soap opera familiare. Inoltre non mancheranno sorprese e colpi di scena degni di molti prodotti Netflix. Non che debbano piacere per forza questi tratti, né in effetti si rivelano sempre di qualità, ma è ammirevole l’intento dei produttori di parlare di autismo, questo grandd63b0272334f8e8e3b733951d18184a1938edddae sconosciuto, a chi finora non ha mai avuto modo di interessarsene. Altro grande merito è la scelta coraggiosa di non far passare la condizione autistica come qualcosa di cool o alla moda, ma semplicemente come una possibile condizione della mente umana (quindi anche e soprattutto fastidiosa e di difficile gestione) più diffusa di quanto si pensi, ma  di cui purtroppo non si parla ancora abbastanza senza che si scada nei luoghi comuni. Atypical fa proprio questo: scardina i luoghi comuni facendo ricorso a luoghi familiari.

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