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Pieles: il coraggio di un’opera prima

In un mondo di persone vaccinate contro ogni sorta di scabrosità, sempre a condizione che sia ben presente il filtro dei media a proteggerci, ci ha pensato un regista spagnolo di ventisei anni a risvegliarci e mantenere viva un’antica lezione di cinema. Il giovane di cui sto parlando è Eduardo Casanova, che al suo primo lungometraggio non ha di certo puntato su temi inflazionati: Pieles (2017) può essere classificato a pieno titolo come un film grottesco e, a tratti, surrealista.

Narrativamente, quest’opera non è che un intreccio di storie parallele, un cosmo di persone che, portando con sé il proprio bagaglio di problemi, si incrociano o si scontrano. Tutte loro sono, tuttavia, contraddistinte da menomazioni e deformazioni fisiche più o meno gravi. Il primo, lampante paragone che colpisce la mente del cinefilo è quello con Freaks (Tod Browning, 1932); il film che, riprendendo la realtà quotidiana dei “fenomeni da baraccone” dell’epoca, impartì un’eterna lezione di vita e umanità. Si badi bene, non si parla del banale insegnamento del “conta solo come si è fatti dentro”; la tragicità dell’esistenza fisicamente difettosa è ribadita, evidenziata nella sua fatica quotidiana e nella complessità dei rapporti che i freaks devono intrattenere fra di loro e con il mondo esterno.

Casanova è l’ultimo di molti registi (per citarne qualcuno, Lynch, Jodorowski, Fellini) che sono riusciti ad assimilare tale lezione, a problematizzarla e calarla nella realtà a loro coeva. A conferma di ciò vi è l’introduzione, in Pieles, di elementi strettamente connessi all’attualità, quali il rapporto con i social media, la televisione, le malattie psichiatriche, la chirurgia plastica e, non ultimo, il problema dell’obesità.
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I protagonisti dell’opera, che rispecchiano tanto patologie reali quanto assurde e a dir poco fantasiose, non sono costruiti per suscitare pietà o compassione, ma agiscono da specchio nei confronti di noi spettatori “normali”. La loro quotidianità, fatta di problemi, ossessioni, desideri e speranze non si discosta troppo dalla nostra, se non per il suo tratto di emarginazione ed alienazione. La rassicurante, umanissima frase pronunciata da uno di loro, è quasi beffardamente smentita nel corso della pellicola, poichè si scontra con le barriere psicologiche che tutti noi, volenti o nolenti, possediamo:”Le pelli cambiano, le pelli si operano, si trasformano: l’apparenza fisica non è nulla”.

E’ l’enorme problema dell’accettazione che viene vagliato nel corso del film, e che non riceve una risposta pretenziosamente univoca; quella che si intravede, può essere riassunta nel passaggio obbligato da una consapevolezza della propria tragicità, per approdare al rapporto sereno con sè stessi. Tuttavia, rimane sottinteso che, per il “normale”, rimarrà sempre il sentimento di disagio, disgusto e inquietudine, anche se solo istantaneo, superficiale e reattivo, nei confronti del “diverso”.

Perfetto tutto l’impianto scenografico e fotografico, che fa risaltare le tematiche trattate, a partire dalla predominanza del carnalissimo colore rosa in tutte le sue gradazioni. Infine, il contrappunto musicale alle scene più oniriche, oscene o assurde testimonia la capacità del regista di giostrarsi all’interno di un genere delicato, dove la linea di demarcazione fra arte e cattivo gusto è sempre molto labile.

Sperando davvero che questo giovanissimo regista si confermi a tali livelli e che resti su questo genere solitamente poco battuto, ritengo che Pieles sia assolutamente da recuperare. In primis, per gli amanti del cinema weird, grottesco e dalle tematiche forti.

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