Attualità

C’era una volta Ford…

L’introduzione di nuove tecnologie ha spesso portato all’innovazione con conseguenze positive sul mondo dell’economia e dell’industria, ma non è sempre stato così e non sempre si è parlato di vero progresso.

Con un tuffo indietro di centocinquant’anni torniamo al giorno in cui la catena di montaggio diventò parte integrante del mondo della fabbrica e dell’industria. Sin dai primi momenti il nuovo meccanismo di produzione non venne giudicato positivamente, in quanto erano maggiori gli effetti negativi che i vantaggi apportati. Il rapporto tra uomo e macchina divenne così logorante da rendere l’uomo stesso dipendente dal funzionamento della macchina: in altre parole, la macchina “spersonalizzava” il prodotto del lavoratore. Prima di allora, l’operaio era definito “artigiano” poiché, come suggerisce il termine, nel suo operato, impiegava una dose personale di “arte”, che gli permetteva di riconoscersi in ciò che stava creando e sarebbe stato poi venduto.

metopolis Dall’avvento della società capitalista, invece, il processo produttivo ha iniziato a prevedere una lavorazione standardizzata, che punta alla quantità, lasciando in secondo piano la qualità dell’output.  Se un primo accenno del meccanismo lo si poté notare all’interno dei cantieri della marina militare britannica, furono gli americani Frederick Taylor e Henry Ford a generare questa nuova mentalità industriale al punto che ogni fabbrica adottò quel sistema di produzione. Il taylorismo non si dimostrò pienamente efficiente, in quanto la produttività, certamente, aumentava con costanza, riempiendo possibili vuoti temporali tra una mansione e quella successiva e riducendo al minimo i costi di gestione, ma portava sempre di più a un annullamento dell’identità e della dignità del lavoratore le cui capacità venivano assorbite da un tedioso gesto routinario. Ford applicò concretamente il sistema all’interno del suo settore industriale, quello automobilistico. Era il 1913 quando nello stabilimento di Highland Park venne introdotta la prima catena di montaggio. Ford decise di aggiustare le lacune del progetto di Taylor, innalzando i salari degli operai così che potessero sentirsi gratificati e, avendo a disposizione più denaro, partecipare maggiormente al consumo degli stessi  beni prodotti. Ma fu proprio questo un altro degli impedimenti alla buona riuscita del processo: gli output immessi sul mercato erano tutti uguali e la produzione standardizzata presto disincentivò l’interesse della clientela.

Il punto cruciale del fallimento di questo nuovo meccanismo industriale riguarda però l’aspetto psicologico e umano: l’ingegnere e l’imprenditore non rifletterono a fondo sui potenziali danni che avrebbe causato ai dipendenti; persa la motivazione, essi avrebbero reso una prestazione decisamente inferiore sul posto di lavoro. Come è facile immaginare, nessun operaio si recava in fabbrica particolarmente entusiasta di ciò che lo aspettava ogni giorno: fino a 15 ore di lavoro in condizioni difficili. Fermo alla sua postazione, davanti a una determinata porzione di nastro trasportatore, il suo compito si limitava all’occuparsi di un pezzo preciso della produzione, con un gesto routinario che lo avrebbe condotto alla totale alienazione dalla realtà.

Non è difficile quindi comprendere le ragioni di chi sostiene che il progresso (se di “progresso” è corretto parlare) potrebbe potenzialmente diventare rischioso: la tecnologia sostituisce lentamente la manodopera umana, il che porta al licenziamento del personale. Risultato: i dipendenti non riescono più a mantenersi e mantenere la propria famiglia. E’ necessario ricordare che, in riferimento allo specifico caso  dell’epoca, il compito di provvedere al reddito spettava principalmente al marito: la donna viveva ancora in una condizione di isolamento, dedicandosi a casa e prole.

La parentesi storico-economica che vide l’attuazione dell’esperimento del taylorismo viene definita Seconda Rivoluzione Industriale, ma non riscosse il successo di quella che era avvenuta in precedenza. Se si analizza il concetto nella storia moderna e contemporanea. è evidente che l’industria rappresenti un simbolo di ricchezza delle nazioni (affermazione che ricorda il titolo dell’opera principale dell’ economista Adam Smith): l’obiettivo era ottenere un elevato profitto, senza preoccuparsi molto delle condizioni in cui gli operai si ritrovavano a lavorare. Il dipendente che si fosse opposto avrebbe ricevuto la minaccia del licenziamento e, anche cambiando struttura, le condizioni, igieniche e sanitarie comprese, sarebbero state le medesime.

Tuttavia alcuni provvedimenti erano stati presi per cercare di migliorare il trattamento degli operai e riuscire quindi a migliorare il loro rendimento e aumentare il loro potere d’acquisto. Sul fronte dell’offerta, attraverso il cosiddetto fordismo, ci si dimostrò attenti al benessere sociale, oltre che a quello economico, e si promossero nuove riforme affinché industriali e dipendenti potessero percepire in modo sereno l’ambiente di lavoro. Ford  fece in modo di aumentare la paga a 5 dollari al giorno, raddoppiandola e, ridusse le ore lavorative a otto.

La produttività rimase comunque inalterata, ma l’operaio si sentiva riconosciuto come uomo e non solo come parte integrante del processo meccanico, coinvolto più attivamente nel processo produttivo.  Non è tutto: vennero istituiti centri di assistenza finanziaria nelle fabbriche e scuole per gli operai immigrati. Infine vennero destinati fondi per la costruzione di ospedali ad accesso gratuito (l’assistenza medica, negli Stati Uniti, era già onerosa), nella cittadina di Detroit.

 

Tuttavia sembra che l’esperienza degli inizi del secolo scorso abbia confermato quella che sembrava un’affermazione pessimistica e, forse, eccessiva dell filosofo dell’ Ottocento, Karl Marx, il quale definiva il lavoro, nell’ambito del capitalismo, un’attività non libera, ma un’imposizione esterna che privava l’operaio dalla sua autonomia e della proprietà del prodotto a cui stava lavorando. Secondo coloro che contestano questa teoria, e quindi il sistema taylorista-fordista, invece, egli dovrebbe essere considerato come un umano dotato di un proprio talento che merita di essere espresso. Fortunatamente, dagli anni Ottanta in poi, i processi industriali subirono ulteriori evoluzioni e flessibilità è diventata la parola-chiave di ogni team di lavoro, pronto a mettersi in gioco per realizzare una produzione orientata a soddisfare il mercato, e lasciare ai lavoratori  maggiore libertà e possibilità di migliorare la propria condizione.