Cosmologie violente
di Erica Gazzoldi
“It’s then I realize it’s only a condition of seeing things that way/Intuition takes me there/ Intuition takes me everywhere”.
Questi versi di John Lennon sono posti in apertura di “Cosmologie violente – Percorsi di vite criminali” (Raffaello Cortina Editore, 2009).
Gli autori, Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, hanno appunto cercato di cogliere le “intuitions” che portano al compimento di gesti efferati, intervistando chi se ne è reso protagonista. Adolfo Ceretti è professore ordinario di Criminologia all’Università Bicocca di Milano e coordinatore scientifico dell’Ufficio di mediazione penale nella stessa città. Lorenzo Natali è dottorando di ricerca in Diritto penale e Criminologia presso il suddetto ateneo. Hanno presentato il saggio scritto a quattro mani nella sala conferenze del collegio S. Caterina da Siena, a Pavia, il 4 marzo 2010. Ha dialogato con loro Luisa Broli, ex-allieva dell’istituto.
Nella sua introduzione, ha sottolineato il carattere multidisciplinare del libro, che attinge alla criminologia, alla psicanalisi, alla filosofia ed al cinema, visto come mezzo d’interpretazione della realtà. Come già accennato, il saggio contiene interviste ai reclusi del carcere di Milano-Opera. Nelle loro autonarrazioni, gli interessati cercavano di ridare ordine ai propri comportamenti; al “kósmos”, a questo “ordine”, si riferisce il termine di “cosmologie”. Secondo gli autori, ogni atto si fonda, appunto, su una certa “cosmologia”. Per il loro lavoro, hanno tratto ispirazione dalle teorie di Lonnie Athens. Questi ha coniato il concetto di “comunità fantasma”, un distillato delle proprie esperienze e, soprattutto, dei propri incontri reali ed immaginari. È il rapporto con questi “fantasmi” a indurre i comportamenti. Ciò diventa evidente nei soliloqui con cui i soggetti si spiegano il proprio agire. Per L. Athens, il soliloquio si basa sui seguenti principî:
– Esso trasforma sensazioni corporee indefinite in sentimenti. Le prime sono guidate dalla “comunità fantasma”, destinataria del soliloquio. Esiste una sorta di “parlamento interiore” composto dalle persone significative incontrate durante la vita. Non bisogna fare confusione tra il Super-Ego e la “comunità fantasma”, che può cambiare col tempo. Essa esiste solo e sempre nella rappresentazione mentale;
– Il passato è sempre unico, anche per chi vive nello stesso quartiere violento. Non esistono determinanti sociali. È la capacità autoriflessiva ad interagire col mondo, a dare una certa padronanza ed a mediare i vincoli strutturali della comunità di appartenenza.
Le teorie di L. Athens e degli autori prendono corpo in alcuni spezzoni di film, citati nel saggio e proiettati durante la presentazione. “La sottile linea rossa” di Terrence Malick (1998) formula la domanda basilare della criminologia: perché si arriva alla violenza? Per quanto riguarda quella individuale e diretta al corpo, uno spunto viene da “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino (1994). Esso mette in luce cosa le persone “si dicano” quando commettono atti violenti. Come nelle altre scelte, l’individuo ha un forte senso della propria presenza, elabora riflessioni morali e compie scelte di campo. La differenza, in questo caso, è data dall’attuazione di un gesto violento per risolvere la situazione. Il soliloquio e l’attribuzione di significato al proprio comportamento hanno luogo anche durante una rivendicazione di dominio o un’aggressione fisica dettata dall’odio: gli esempi sono dati da “Elephant” di Gus Van Sant (2003) e “American History X” di Tony Kaye (1999).
Ancora “Pulp Fiction” illustra, invece, come il soliloquio sia basato sulla dimensione del tempo, dato il suo carattere narrativo. In detta narrazione, si concentra la “cosmologia” del soggetto. È presente anche il tema dello specchio: il personaggio che elabora il soliloquio dialoga con la propria immagine. Senza questo momento di “riflessività”, secondo G.H. Mead, il flusso delle esperienze non può allargarsi. Tutto ciò mostrerebbe come l’atto violento non abbia una natura irrazionale ed incontrollabile, ma sia un agire sociale condotto attraverso una prospettiva.
La sfida che gli autori si sono lanciati è quella di riuscire ad ascoltare e comprendere al di là di una netta distinzione fra normalità/malattia mentale, individuo/società. Proprio una figura di psicopatico è offerta da “Non è un paese per vecchi” di Joel ed Ethan Cohen (2007). Per “psicopatia” si intende “un disordine effettivo che porta all’incapacità di empatizzare”, di mettersi nei panni degli altri. Tuttavia, per compiere un’azione violenta, occorre prevedere le mosse della vittima: l’esecuzione di un crimine efferato, dunque, non è riducibile alla malattia mentale. L’atto giunge alla fine di un lungo processo, legato al soliloquio interiore, in cui le fasi iniziali non determinano necessariamente l’esito. Ciò vale anche per il percorso di violentizzazione, cioè per il cammino che porta una persona a divenire violenta. Questo è il frutto dell’interiorizzazione di rapporti sociali di sopraffazione, attraverso la relazione con altre persone. Una “cosmologia violente” può anche essere trasmessa per insegnamento, come avviene in “The Departed” (Martin Scorsese, 2006).
La violentizzazione comincerebbe, abitualmente, con una brutalizzazione(subire una sopraffazione). Ciò può portare alla convinzione che, per sopravvivere, bisogni praticare la violenza: è la prima svolta nel percorso. Il passo successivo (non necessariamente) sono le violente. Si arriva ad una vera e propria quando la “comunità fantasma” sostiene sempre più l’azione violenta. Tutto ciò è definito da L. Athens come un cambiamento drammatico di sé. L’esito del percorso dipende dagli vissuti di volta in volta.
La presentazione dell’opera si è conclusa con un momento dedicato alle domande dei presenti.
L’azione violenta può venire da un amore distorto?” Premettendo che le loro teorie non sono in grado di spiegare tutto, gli autori hanno riaffermato che l’azione violenta è il traguardo di un lungo percorso; in quest’ultimo, trova posto una serie di rapporti che il soggetto non è in grado di raccontarsi. Fra questi, si contano anche le relazioni prenatali madre-figlio. “L’amore distorto” è qualcosa che precede ciò che si può nominare.
Qual è l’efficacia della pena?” Il prof. Ceretti si è dichiarato “alieno da ogni concezione retributiva”, ma ha aggiunto che ciò non significa trascurare le reali necessità. Soprattutto, ha sottolineato il bisogno di rivedere il concetto di “imputabilità” per pensare a modelli che responsabilizzinoil reo, anche in caso di malattia mentale.
Può entrare in gioco un senso di colpa che porti alla riparazione?” Questo avverrebbe quando qualcosa fa dubitare dell’integrità della propria “comunità fantasma”. A contatto con nuovi modelli, tutto il mondo coerente attorno al gesto violento può frantumarsi. Di ciò dovrebbe tener conto anche la “rieducazione”. Le persone intervistate dagli autori mettono il mondo in relazione con una trama narrativa da loro costruita. Proprio questa potrebbe essere il punto di ripartenza per il processo descritto, inserendo nella trama elementi estranei all’esperienza dell’interessato.
Il prof. Ceretti scommette molto sulla mediazione reo-vittima, che, in detto modo, permetterebbe al primo di responsabilizzarsi ed alla seconda di superare l’esperienza violenta.