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Recensione – Babelfish

In copertina campeggiano gli occhi fiabeschi di Mai-Lin Kochi. Sulle sue labbra sboccia la farfalla multicolore dipinta da Roberta Santoro, il tutto in un dettaglio inquadrato da Gabriella Vaghini. Babelfish di Gino Pitaro (Edizioni Ensemble, Roma 2013) promette esotismo e fantasia a partire dalla grafica.

Nel primo racconto un ardimentoso quanto goffo ragazzo calabrese festeggia il proprio compleanno affrontando Il toro di Pamplona. Un modo di rispolverare il concetto di “festa” come momento intensamente antropologico, iniziatico. Il tutto a patto di rinunciare alla retorica e di incorniciare i colori violenti con l’ironia.
In Michelangelo, Ginevra e io si ripercorre l’umile e schiva epopea di un pugile, ricordato dall’amico di una vita. Il racconto è un dialogo fra questi e la memoria del pugile, tra aneddoti camerateschi e pennellate poetiche, ma senza facili melodrammi. La morte in solitudine dello sportivo idealista richiama un’immagine apparentemente dissacrante: quella della sua «pioggia dorata», una «pertica liquida che ambiva a divenire cielo» (p. 28). Un dettaglio sorridente può racchiudere il senso di una vita.
Holly tratta d’un altro genere di viaggio: quello che, per alcuni attimi, fa oltrepassare il confine fra i morti e i vivi. Un’esperienza possibile nei cimiteri monumentali e nelle chiese secolari, dove «una sorta di Ugo Foscolo al contrario» (pp. 35-36) può far rivivere i morti dimenticati.
Miss France è l’insegna d’un negozio dove un’anziana vedova vende vecchie masserizie, di scarso valore venale, ma piene di storie da raccontare. Questo angolo, volutamente sottratto all’efficientismo e all’affarismo, diventerà un’«ancora di salvezza» (p. 68) per il mondo degli uffici londinesi.
Sakura, il “Bocciolo di ciliegio”, accompagna un giovane spedizioniere italiano attraverso Singapore: una città che può essere «un drink da bere tutto d’un fiato» (p. 78), ma anche un groviglio di rapporti inspiegabili – eppure ferrei. In ogni caso, Singapore si conferma come «un luogo dove tutto fluisce e niente si trattiene» (p. 71). Chi spera di trovarvi un amore da stringere riparte con le lacrime agli occhi, ma gettando «un ponte oltre i confini del tempo e dello spazio» (p. 102). Proprio l’incessante desiderio d’un vero amore, infine, è Il dazio da pagare per condurre una vita d’artista.

Pitaro dipinge sei viaggi assai differenti, ma accomunati da un sottofondo: l’Italia di partenza, soprattutto la Calabria che ha dato i natali all’autore. L’estro del narratore si fonde bene con l’abilità di giornalista freelance e documentarista. Il sottotitolo di Babelfish – ovvero Racconti dall’Era dell’Acquariorimanda a un universo rinnovato e fluido, in cui domina uno sguardo da «turista distante», «una percezione diversa del tutto» (p. 30).

Gino Pitaro è nato a Vibo Valentia nel 1970. È stato redattore, articolista freelance, documentarista indipendente. Nel 2011, ha pubblicato I giorni dei giovani leoni (Arduino Sacco Editore). Con Babelfish, ha vinto il Premio Letterario Nazionale di Calabria e Basilicata 2013.

@EricaGazzoldi

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