CinemaCultura

“Sguardi puri 2.0” / Il mio migliore incubo

Ha chiuso la rassegna Sguardi Puri 2.0 2013 e originariamente si chiamerebbe Il mio peggiore incubo. Ma, purtroppo, anche la commedia francese, pure discretamente seguita ed amata in Italia, rientra in quella categoria di film i cui titoli – per spingere al botteghino – vengono rivisitati e resi continuamente uguali a se stessi, tristemente omologati ai vari Il mio miglior amico, Il mio miglior nemicoLa mia miglior nemica
Una vera e propria offesa per  il pubblico italiano mediamente istruito che, avvezzo ormai a tali pratiche, quasi più non s’accorge d’esser continuamente manipolato in nome di discutibili scelte di marketing. Se poi, invece, si pensa che ancora solo il 46% della popolazione italiana diachiara di leggere almeno un libro l’anno, allora anche indignarsi diventa solamente una sterile e vana battaglia.
Il mio migliore incubo racconta l’intrecciarsi di due storie differenti destinate, inevitabilmente, ad incontrarsi: quella di Agathe (Isabelle Huppert) madre di famiglia esigente, glaciale gallerista e fragile snob crogiolante nell’anonima Parigi bene contemporanea, e quella di Patrick (Benoit Poelvoorde) probabilmente mancato camionista, tuttofare un po’ trappano dalla canottiera sgualcita e il vocabolario poco oxfordiano. Entrambi genitori con figli ai loro antipodi (quello di lei poco brillante nella vita e negli studi, quello di lui intellettualoide genietto irreprensibile) intraprendono un rapporto professionale dapprima, superficialmente amichevole poi e prevedibilmente amoroso sul finire.
Una commedia francese che della poesia, della sensualità suggerita dalle fini immagini e dei dialoghi brillanti tra i vicoli parigini colorati non ha neanche le intenzioni. Piuttosto sembrerebbe, come fosse un pessimo plagio, aver mutuato dalla peggior tradizione italiana la volgarità d’un linguaggio poco ortodosso quasi mai divertente nonché i tristi stereotipi della donna bella e colta che cede alle maniere virili di un uomo che non deve chiedere mai – che sì, possiede anche lui una certa qual sensibilità in fondo in fondo, e ad esagerare, perfino qualche tipo di velleità artistica – e dell’uomo anziano che tradisce la moglie con una giovane bella ragazza frenetica e no global a cui piacciono gli alberi e i canti tibetani.
Una prova di regia un po’ povera per Anne Fontaine che vorrebbe concentrarsi su un tema anche interessante, come l’ottimo umorismo che potrebbe sussitere in una storia dai protagonisti così lontani nella scala sociale ma così vicini nell’aiutarsi a colmare le reciproche mancanze – senza però interpretarlo personalmente, perdendo di mano l’obiettivo e scadendo nel già visto e già raccontato.

Non sono già visti invece, e ci ritroveremo qui a parlarne, i film che da mercoledì 27 marzo animeranno, dopo gli “sguardi” invernali, la rassegna di cinema indipendente INDIE #17. Sempre a Pavia, sempre al Politeama, sempre con ottime prime visioni in città da non perdere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *