Attualità

Venerdì profano #27 – ItaliaNo medio o medio italico?

Dopo mesi e mesi di campagna elettorale (vanamente) si sperava che a seguito del voto referendario i toni diminuissero: macché. Domenica scorsa il popolo italiano si è espresso sulla riforma della Costituzione italiana: ha vinto, a grande maggioranza, il No (con il 59% dei consensi, 19milioni di elettori su 33milioni dei 50 aventi diritto). Ma, complici anche le dimissioni del Presidente del Consiglio, il clima politico è più burrascoso che mai. Provare a far pronostici è impresa tanto ardua quanto (a mio avviso) inutile; tuttavia, a seguito di un tale risultato, una riflessione è doverosa.

ARE YOU MY PERSONAL JESUS?

Matteo Renzi avrà pure i suoi limiti, o i suoi difetti e le sue pecche, ma nessuno, al momento, è un miglior agenda-setter di lui: lo sguardo va verso dove il segretario del Pd indica, con buona pace della luna (sempre che questa ci sia). A seguito del voto referendario, arrivato in massa (perché il 65% di affluenza nelle “elezioni post-moderne” è “molto”), in parecchi si sono chiesti se – e in ancora di più hanno affermato che – il voto sia stato dato più sull’operato del Governo che sul merito della riforma. Anzi, sarebbe stato un vero e proprio referendum su Renzi. E dunque a parlare, più che la testa, sarebbe stata la pancia degli italiani. Ma se è vero, da una parte, che ogni referendum, intrinsecamente, nasce politicizzato, è innegabile come Renzi lo abbia partorito, battezzato, educato, cresciuto e sposato politicizzato: “se perdo mi dimetto”, “non mi dimetto”, “non ho mai detto che mi sarei dimesso”, e infine, risultato alla mano, “mi dimetto”. In questo vortice di affermazioni, di campagna elettorale mensile, se non annuale, rimane solo un laconico “Renzi ha sbagliato”. Ma “ha sbagliato” perché i referendum non vanno personalizzati? O perché i referendum personalizzati poi rischiano di essere persi? O perché ha risposto la pancia del Paese (per altro, leggendo a posteriori il renzian “più persone vanno a votare, più è facile vinca il Sì”, pare che al populismo non occhieggiassero solo gli esponenti politici del No), sempre sia stata questa a rispondere? O solo perché ha perso il Sì e chi parla tifava per lui? In ogni caso, se a una maggiore affluenza alle urne (peraltro il 65% non mi sembra affatto molto, sinceramente), corrisponde una diffusa “allerta populismo”, in quanto gli elettori si sarebbero (per assioma) recati alle urne (solo e soltanto) per votare con la pancia (nonostante ci fosse in gioco la Costituzione, sigh!), allora la democrazia è in una crisi ben peggiore rispetto a quanto crediamo.

FISICO O POLITICO?

A proposito di agenda-setting, e di meriti di Renzi, a lui va riconosciuto di essere l’unico politico ormai rimasto in circolazione in questo paese (il che lascia da pensare). In molti ci provano, ma solo lui ci riesce, sempre. Il discorso d’addio (di arrivederci – non vorrei insultare l’intelligenza di nessuno) del Matteo di governo, più che l’umanità dell’uomo, ha messo in luce la sua abilità politica. La lacrimuccia, scandita nell’eco sordo del “e ora che governi l’accozzaglia”, ricorda molto la scena del bambino che, offeso, andandosene dal parco, si gira verso i suoi ex-amichetti dicendo: “e ora sceglietevi che sport volete fare”, ma solo perché consapevole di avere, anche all’uscita dal cancello, la palla in mano. Il parco giochi è la politica italiana, anzi, le poltrone dei politici italiani; la palla è il governo, anzi, le “palle” degli italiani. La verità è che nessuno degli schieramenti politici vuole governare (che ne dica Renzi, una maggioranza possibile potrebbe arrivare solo dal Pd), per una questione di numeri, di tempo e di consenso (e perché tutti sanno cosa è successo a Mario Monti, ricandidatosi dopo l’esperienza di un governo tecnico, scioltosi come neve al sole).

Il segretario del Pd sa 1) che M5S, Lega e Forza Italia non riuscirebbero, nemmeno a provarci, a trovare un accordo; 2) che nessuno vuole andare al governo, considerato che il mal capitato perderebbe una marea di voti; 3) che serve una legge elettorale, in quanto questo governo l’ha prevista – con gran lungimiranza, serietà e visione d’insieme – per il nuovo sistema, dunque con il Senato escluso (sull’Italicum aleggiano poi dubbi di costituzionalità, ma non solo, con il rischio dell’ennesimo parlamento “illegittimo”). In linguaggio scacchistico si chiamerebbe zugzwang, ovvero una situazione di inevitabile scacco in poche mosse; su Twitter “ricatto” o “paraculata”. A me basta “agenda-setting”. O, a esser poco cinici, “ricatto”.

PROSSIMA ELEZIONE O FUTURE GENERAZIONI?

Una cosa al di là di tutto, a mio avviso, andrebbe compresa da questo referendum: la politica, soprattutto quando si parla di Costituzione, la dovrebbe davvero smettere con gli slogan. Con la paura, con lo sguardo alle borse e alle agenzie di rating, con le speculazioni straniere e i paragoni inutili. Una cosa sembra chiara: i cittadini sono preoccupati per il loro futuro (il voto giovanile, per l’80% indirizzato al No, è un dato a mio avviso interessante). Per un paese, specialmente per l’Italia, in un momento storico, economico e sociale tale, la cosa peggiore è essere spaccato in due per ragioni propagandistiche. In questo senso, un attimo di considerazione la merita una parola: “accozzaglia”. L’accozzaglia del No, quella di Salvini, Grillo e Berlusconi, ma anche di Travaglio, Pace e Zagrebesky – quella del Sì: Renzi, Boschi, Alfano e Verdini. La Costituzione del ’48, “la più bella del mondo”, tuttavia, è bene ricordarlo, fu scritta da un’accozzaglia di forze politiche rappresentanti il paese (Democrazia cristiana, Partito socialista, Partito comunista), detta Assemblea Costituente, perché, ed è bene tener presente anche questo, le costituzioni le riforma il Parlamento, non il Governo. Spetta ai cittadini, non alla politica. Perché in democrazia “la sovranità appartiene al popolo” e non a questo o quel governo, o questa o quella maggioranza decisa da una legge elettorale. Provare, in questo senso, a ricordare i primi mesi di questa legislatura, tra “non vittorie”, “inciuci” e “populismi”, può rivelarsi utile. Soprattutto per capire il futuro. Qualche anno fa, prima di iniziare le varie esperienze di governo Letta e Renzi, si diceva: “Si faccia la legge elettorale e si voti il presidente della Repubblica, poi elezioni”. Oggi ci ritroviamo (per altro dopo la rielezione di Napolitano) con Mattarella che invita la politica a trovare l’accordo per una nuova legge elettorale.

Ma più vicini che mai alle prossime elezioni, pare difficile si inizi a pensare alle prossime generazioni.

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