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“The Pride”: diventare se stessi

In uno spettacolo in cui è impossibile dire chi sia il protagonista principale colui che ruba la scena e si impone come presenza precipua è il tempo. È lui il vero protagonista: lo scorrere  del tempo, il tempo che trasforma la società, il tempo che cambia le mode e i costumi, il tempo che fugge, il tempo che sembra tornare.

The Pride ci racconta due storie che si sviluppano parallelamente, due vicende di tempi lontani tra loro, distanti ben cinquantasette anni ma con profondi echi, richiami, collegamenti. Un intreccio costante e impossibile da districare. I protagonisti delle due storie sono persone diverse, inizialmente sembrano non avere nulla in comune ma inoltrandosi nelle vicende e conoscendone gli sviluppi si scopre come i personaggi, che portano persino lo stesso nome (e sono interpretati dagli stessi attori), siano accomunati da qualcosa di profondo:  un legame di ricorrenze caratteriali, di emozioni, di sensazioni, di problemi, di tormenti interiori, di incertezze, di identità sessuali inespresse. I personaggi di una storia sono le proiezioni dei protagonisti dell’altra, le vicende parallele si rivelano essere una sorta di medesimo accaduto.

Londra, 1958. Philip (Luca Zingaretti) è sposato con Sylvia (Valeria Milillo) illustratrice che lavora per Oliver (Maurizio Lombardi), scrittore di libri per bambini, l’incontro tra i due uomini scatenerà una vibrante attrazione reciproca impossibile da affrontare pienamente ed apertamente.

Londra, 2015. Philip, un fotoreporter, decide di lasciare il compagno Oliver, giornalista di talento, a causa della patologica infedeltà di questi.

Le due storie procedono a scene alterne, è tutto in divenire, il tempo è un flusso costante in cui si innestano episodi simili, intrecci quasi identici, rimandi particolari. In divenire sono le scenografie la cui trasformazione rappresenta il legame tra le due storie intrecciate saldamente fin nella messa in scena, fin nei piccoli istanti paratattici, momenti condivisi di cambio scenografia, sorta di dissolvenze incrociate applicate abilmente al contesto teatrale attraverso l’ingresso in scena, al termine di ogni quadro, di un personaggio-prologo del quadro successivo e la mostrazione della costruzione della scenografia stessa .

L’amore tra i due uomini nel 1958 è qualcosa di impossibile, viene in ogni modo ostacolato, distrutto, portato alla esasperazione, le emozioni esplodono in violenza così come violento è il processo di cura medico/psichiatrico della omosessualità trattata come una terribile patologia (una terapia a base di apomorfina in modo tale da associare l’attrazione fisica omosessuale al senso di nausea e ai conati di vomito) che rappresenta, ben più che letteralmente, la brutalità del  soffocare la propria identità, lo strazio dello spegnimento del proprio sé naturale. L’amore della coppia del 2015, per quanto la libertà  di espressione, la libertà sessuale, la libertà di essere pienamente se stessi senza incorrere in giudizi moralisti sia ancora qualcosa di non completamente conquistato, o meglio concesso (si sente ancora un eco di incertezza, di frustrazione, di instabilità), sembra avere almeno una speranza che cinquantasette anni prima sarebbe stata inimmaginabile, speranza esplicitata dal “signore di 95 anni” che Oliver e Philip, poco prima del momento conclusivo dello spettacolo, osservano da lontano mostrare finalmente la sua vera identità, la sua verità naturale, senza maschere e senza costrizioni fino a risultare addirittura eccessivo ai loro occhi.

Luca Zingaretti, attore e regista, (presumo inutile specificare che sia conosciuto e riconosciuto per la sua interpretazione del commissario Montalbano nell’adattamento televisivo dei romanzi di Camilleri) decide di portare in scena un testo intenso, impegnato e impegnativo del drammaturgo greco Alexi Kaye Campbell (nato ad Atene nel 1966 da padre greco e madre britannica)  che, rappresentato per la prima volta nel 2008 al Royal Court Theatre di Londra, ha fatto registrare un crescente successo di critica e pubblico ed è approdato a Broadway nel 2010. The Pride non è solamente la storia di un amore omosessuale, racconta della ricerca che ogni essere umano, di qualsiasi genere, di qualsiasi orientamento sessuale, deve compiere su sé stesso, l’orgoglio è ciò che deriva dall’accettazione della propria identità, del proprio corpo, della propria natura. È una storia di amore e di coraggio che Zingaretti rende con una sapiente regia che punta alla sostanza e ad emozionare e colpire gli animi e le coscienze degli spettatori, senza mai cadere in banalità e stereotipi, senza mai sfociare in eccessi gratuiti, proponendo quindi una rappresentazione perfettamente misurata ed equilibrata, leggera ed elevata. Il cast di attori rinforza la riuscita della messa in scena con una magistrale prova interpretativa di grande intensità, eccelle Maurizio Lombardi (il Cardinale Mario Assente di The Young Pope) in una interpretazione sentita ed emozionante.

The Pride sarà in scena al Teatro Fraschini di Pavia nei giorni 7-8-9 Febbraio del 2017, non posso che consigliarne la visione.

The_pride_locandina

THE PRIDE

di Alexi Kaye Campbell

traduzione: Monica Capuani

con Luca Zingaretti, Valeria Milillo, Maurizio Lombardi, Alex Cendron

scene: Andrè Benaim

luci: Pasquale Mari

costumi: Chiara Ferrantini

musiche: Arturo Annecchino

regia: Luca Zingaretti

produzione: Zocotoco Srl

in coproduzione con Fondazione Teatro di Napoli

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