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Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Dopo aver trionfato all’ultima edizione dei Golden Globes, aggiudicandosi quattro riconoscimenti – compreso quello per miglior film drammatico -, arriva nelle sale italiane dall’11 gennaio Tre manifesti a Ebbing, Missouri, scritto e diretto da Martin McDonagh al terzo lavoro da regista, dopo gli acclamati In bruges (2008) e Sette psicopatici (2012).

Abbandonati, ma non del tutto, i toni coeniani che hanno caratterizzato le sue precedenti pellicole, il cineasta britannico mette a fuoco la sua dimensione artistica concentrandosi sul dramma di Mildred Hayes – un’eccezionale Francis McDormand ispiratasi nei modi a John Wayne – che, incattivita dal torpore di una giustizia rea di non aver fatto il possibile per trovare il responsabile dell’omicidio e dello stupro della giovane figlia Angela, decide di noleggiare tre spazi pubblicitari alle porte della cittadina di Ebbing, allo scopo di affiggere un messaggio provocatorio diretto al capo della Polizia locale Willoughby (Woody Harrelson). L’attenzione ricade su Mildred ed il suo gesto, generando nei concittadini tensioni ed astio verso la donna, colpevole – a loro detta – di scagliarsi contro un uomo stimato e molto malato.

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Nonostante la tragedia che funge da antefatto spinga lo spettatore ad inquadrare il film come un ordinario thriller volto all’ottenimento di una giustizia privata, ben presto risulta chiaro l’intento registico di smarcarsi dal canone per inscenare il suo messaggio etico con una notevole maturità espressiva priva di patetismi, in un doppio percorso evolutivo che passa tanto attraverso il male, come la vendetta, il razzismo, la violenza, l’abuso di potere, il cancro, quanto attraverso il bene, rappresentato dalla speranza, dalla redenzione e dal perdono.

Il comparto tecnico di rilevante qualità, capace di esaltare l’impatto delle scene attraverso piani sequenza ed inquadrature studiate, nonché la potenza straniante della colonna sonora di Carter Burwell e René Fleming, sono al servizio degli obiettivi della pellicola, laddove la forza di Tre manifesti a Ebbing, Missouri risulta condensata nella sceneggiatura – già premiata all’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – che agisce su due versanti conferendo tridimensionalità ed imprevedibilità alla vicenda: se da un lato lo sguardo del regista è puntato sul ritratto impietoso di una cittadina di provincia, polizia lassista compresa, incardinata su stereotipi razzisti ed omofobi, dall’altro lato a convincere è l’approccio cinico e sagace dei dialoghi, che s’innestano abilmente nel dramma, spezzandolo, ma non snaturandolo in commedia, attraverso un’ironia non banalizzata.

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L’impianto narrativo, seppur a tratti surreale, definisce un ricco mosaico di personalità cucite su misura degli interpreti, tra le quali svettano un Sam Rockwell in stato di grazia – efficace nel rendere con espressioni e corporalità le sfaccettature del suo personaggio – e i secondari Peter Dinklage (noto per il ruolo di Tyrion Lannister nella serie tv Game of Thrones) e Lucas Hedges (accanto a Casey Affleck lo scorso anno in Manchester by the Sea, di Kenneth Lonergan), quest’ultimi in ruoli minori, ma centrati.

Tra i titoli favoriti per la corsa agli Oscar 2018, con il suo dinamismo ed il potere della parola, uniti ad un finale inatteso e volutamente ambiguo, Martin McDonagh costruisce una trama appassionante, facendo di Tre manifesti a Ebbing, Missouri un lavoro equilibrato, capace di raccontare una storia crudele con straordinaria umanità.

Scena cult: colpo di tosse

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Chiara Turco

Chiara Turco nasce a Pavia il 23 agosto 1993. Frequenta il liceo scientifico "C. Golgi" di Broni (PV), diplomandosi nel 2012. Nel febbraio 2018 consegue la laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Pavia. Appassionata di Cinema, diventa redattrice di Birdmen nel dicembre 2016, per poi successivamente occuparsi anche dell'ambito social network.

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